CINEMA TEATRO ITALIA
racconti di esperienze d'arte dal pianeta Italia
a cura di Elena Bucci
Lina e Nella Baroncini erano due sorelle bolognesi, di origini romagnole, deportate per motivi politici a Ravensbrück insieme ai genitori e a una sorella maggiore che non sopravvissero. Le loro testimonianze furono raccolte a metà degli anni ’70 da Lidia Beccaria Rolfi e da Anna Maria Bruzzone. Eccone qualche frammento. Il 7 dicembre 2023, nel pomeriggio, con estrema grazia, la Giovanna ci ha salutato. Credevo di conoscerla, ma in questi ultimi mesi ho capito che era molto di più di quanto non sapessi, per quanto le voglia assai bene e la stimi infinitamente. Discreta, sommessa, vera artista, elegantissima, non faceva mai mostra del suo valore, che, di fronte alla malattia e alla morte, si è rivelato gigantesco, mentre lei, minuscola regina, diventava sempre più sottile e trasparente, con i capelli che crescevano vigorosi come una corona. Giovanna dice sempre di sì, all’umanità che incontrava lavorando in Comune, alla danza, al canto, al teatro, alla bocciofila, all’amicizia, alla vita, all’amore. Sì, sì, sì. Quando ha detto no agli amici era perché sentiva che qualcosa non andava. Da sola ha cercato le cause, da sola ha capito la gravità del suo male, ascoltandosi, riflettendo, senza mai scoraggiarsi, anzi, sostenendo chi la amava e si preoccupava. E poi, anche nella malattia, ha ricominciato a dire sì, ai responsi, alle cure, al dolore, agli ospedali. Sì. Il 5 dicembre sono andata a trovarla ed era tutta contenta perché aveva mangiato tutti i passatelli che le aveva fatto la Rosalba e che la moglie di suo figlio Luca, Eleonora, le aveva portato. Aveva mangiato anche la crema fatta in casa, aveva fatto merenda. Voleva prendere forza, migliorare, camminare. Mi ha raccontato di tutte le persone che la sono andate a trovare, ha ricordato le amiche e gli amici del teatro, abbiamo riso dei fatti che hanno reso meravigliosi i nostri anni insieme. Il giorno dopo era finalmente negativa al Covid e tutta contenta ha trotterellato avanti e indietro per i corridoi. Finalmente era finito l’isolamento e la sua camera era aperta a tutti e a tutto. Nel pomeriggio è arrivato il male grande, al quale si è consegnata, dicendo ancora una volta sì. Il 7 dicembre ha detto sì al passaggio ad un’altra vita, ad un’altra dimensione. Ha sempre sorriso, come sempre ha sorriso da quando la conosco. Così ha sorriso tutta l’estate e l’autunno, nonostante la malattia. Come una principessa stava a Punta Marina, immersa in quello scintillio speciale che hanno i posti di mare. Riceveva le visite, resisteva allo sconforto e al dolore con la grande fiducia che ha sempre avuto nel sì e nella vita. Non voleva per nulla addolorare tutte quelle persone che ora, senza di lei, si sentono orfane e sole. Così la tengo accanto, mentre mi insegna, ogni momento, a dimenticare il male e a dire sì, sì, sì, sempre con il sorriso. Ciao, Maestra. (EB) 19 dicembre 2023: Le belle bandiere dedicano a Giovanna Randi la terza serata de “Il Circolo delle arti” >> Ieri sera, dopo lo spettacolo, ci siamo fermati come sempre nel bellissimo chiostro dell’Arena del Sole, dove incontriamo pubblico e amici dopo lo spettacolo “Risate di gioia” che ci regala tante soddisfazioni e incontri. Ci aspettava tra gli altri, educatamente discosto, un ragazzo cinese dai capelli lunghi che si presenta con un nome italiano, Ezio. I ragazzi cinesi che vengono a studiare in Italia capiscono subito che non riusciremmo mai a pronunciare i loro veri nomi e ne acquisiscono uno inventato che forse assomiglia a quello originario. Mi racconta, con la luce negli occhi, che sta studiando all’Università di Bologna per approfondire la conoscenza del teatro e che tutto è partito nel 2015, sette anni fa, quando venne a vedere la nostra “Locandiera” al Teatro Nazionale di Pechino, dove andammo in tour grazie ad un contatto procurato dai nostri amici di Emilia Romagna Festival. Mi dice anche: «ho la prova!» e mi mostra una foto sul cellulare. Siamo noi, tutti in gruppo, circondati da ragazze e ragazzi cinesi del pubblico, c’è anche un ragazzino a sinistra con la giacca a vento rossa. «Questo sono io!» mi dice. Non l’avrei riconosciuto. Sì, è lui, ma ora è fiorito e il suo volto è illuminato. Mi viene da piangere. Molti momenti del nostro viaggio in Cina sono incisi nella mia memoria, ma non avrei mai immaginato di lasciare a mia volta un segno tanto profondo. Ci scambiamo numeri e mail. Il teatro allaccia, il teatro crea famiglia, il teatro annulla i confini. (EB) - «Siamo Putéca Celidònia, una compagnia teatrale che nasce nel settembre 2018 dall'incontro tra sei ex allievi della Scuola del Teatro Stabile di Napoli i quali, dopo aver condiviso lo stesso percorso formativo, scelgono di unirsi in un gruppo di lavoro che si allarga a nuove maestranze che ne compongono l'arcipelago artistico e tecnico. La compagnia nel 2018 prende in gestione due beni confiscati alla camorra nel Rione Sanità, a Napoli. Due tipici bassi napoletani, che diventano luogo di accoglienza e di restituzione al territorio e ai cittadini. Sempre lì conduce un corso di teatro gratuito per i bambini del territorio, oltre a portare avanti il proprio percorso artistico e di formazione. Il progetto ha un nome - dichiaratamente non casuale: DAD Dimenticati A Distanza - e nasce dalla necessità di coinvolgere in questo delicato momento storico in maniera creativa i bambini del quartiere Sanità di Napoli, incontrati grazie alle attività teatrali che realizziamo con loro. Attraversare il mondo della cultura con gli occhi nuovi e curiosi come quelli di un bambino, ci sembra un buon modo di non dimenticare né i bambini né quelle personalità della cultura che qualcosa da dire lo hanno per davvero. Pensiamo inoltre che sia per loro un bel momento formativo. DAD è un format di interviste virtuali destinate ai social che pone al centro un confronto vero e proprio tra l'intervistatore (il bambino) e l'intervistato (artista, personaggio della scena culturale). L'intervista mette a fuoco una serie di domande che mirano a far conoscere più approfonditamente l'intervistato secondo la prospettiva e il punto di vista del bambino. Il dialogo/incontro si conclude con la proposta del bambino all'artista di scrivere una lettera ad un 'dimenticato a distanza' a sua scelta, qualunque sia per l’artista il proprio significato di ‘dimenticato a distanza’. L'intervista verrà registrata sulla piattaforma Zoom. Nel giorno successivo all'intervista condivideremo sui nostri social la “lettera per il dimenticato a distanza” e successivamente il link della registrazione completa dell'intervista.» di Elena Bucci Quando Daniele Bolognesi, Enzo Bolognesi, Riccardo Morfino e Teresitta Pezzi - drappello di pacifici guerrieri della cultura che elenco in rigoroso ordine alfabetico - mi hanno fatto conoscere questo toccante scritto del nipote di Tosca Casadio ("Dimenticare Tosca"), ho subito desiderato dare voce al ritratto di questa donna appassionata, generosa e coraggiosa, nata a Russi e morta a Roma, vissuta in anni che hanno visto gli orrori del fascismo e della guerra. È il primo passo per un ritratto più ampio che spero di regalare al pubblico in una bella serata di settembre. Il progetto Archivio Vivo è anche questo: disegnare ritratti, conoscere altre vite, tramandarne il valore. (le foto che ritraggono Tosca Casadio appartengono all'archivio di Angelo Fanton) Immagini del Teatro Comunale di Russi prima della ristrutturazione - foto Andrea de Luca 1994 In questo aprile strano e pieno di domande, il Teatro Comunale di Russi compie vent’anni dalla sua riapertura, passati in un soffio. Sembra ieri quando, con la collaborazione entusiastica dell’Amministrazione Comunale, aprimmo il portone di quel teatro amato ma chiuso da vent’anni. Era il 1994. Trovammo la testa di Carlo Farini che ci aspettava appoggiata nell’atrio, la sala con le poltroncine di ferro battuto e velluto rosso divelte e accatastate nella platea piena di terra, il palcoscenico nella polvere, il sipario di velluto blu, lo schermo da cinema appeso. Da una voragine nel soffitto entrava una luce che sembrava quella di mille fari. Ci abitavano i piccioni. Lo spettacolo dei danni del tempo e dell’abbandono è molto spesso crudele e incantevole e racconta mille storie. Non immaginavamo che il filmato che realizzammo, con una telecamera ormai obsoleta, tutto mosso e storto, pieno dell’emozione del momento, sarebbe stato il primo atto di una lunga storia. Partì allora l’avventura delle ‘false riaperture’, con tutto il suo lavoro e il suo divertimento, con l’impegno di moltissime persone, enti, associazioni: erano spettacoli dentro il teatro distrutto, con proiezioni, luci, decine di attrici e attori, messaggi di solidarietà da tutta Italia e una folla di pubblico curioso, emozionato. Il teatro ora vivo racconta della grande vittoria collettiva di una comunità. Il governo ha deciso di riaprire cinema e teatri il 26 aprile 2021, ma per molti non è facile riprendere l’attività con un così breve preavviso, nonostante le molte idee e le intenzioni. In accordo con l’Amministrazione Comunale avevamo progettato diverse iniziative per festeggiare questi vent’anni, ma abbiamo deciso insieme di posticiparle un poco per essere certi di agire in piena sicurezza. Stiamo lavorando per aprire presto le finestre del teatro sulla città, sia dal Teatro Comunale stesso, sia da tanti altri luoghi che negli ultimi anni sono stati ritrovati e aperti a tutti. (EB) Quando è nata la collaborazione con Maurizio Viani?
Desidero prima fare una premessa. Sono molto felice che esca questo Speciale su di lui, ma so anche che in nessun modo potrò rispondere adeguatamente a queste vostre domande. È troppo importante, troppo lungo il mio rapporto di amicizia e collaborazione con Maurizio e troppo recente la sua partenza perché io riesca ad essere sintetica e precisa come a lui piacerebbe. Comunque ci proverò. Conosco Maurizio da quando ho cominciato a lavorare in teatro, con Leo de Berardinis, nel primo Re Lear che allestì a Bologna, produzione del Teatro Testoni ora Arena del Sole. Da quel momento in poi, nel quale ci squadrammo con attenzione, il nostro rapporto di collaborazione ed amicizia si è andato sempre più approfondendo, attraverso la confidenza e la realizzazione di molti spettacoli. È stato maestro e amico, abbiamo litigato furiosamente e abbiamo creato, senza bisogno di dire una parola, scene che giudico bellissime, fatte di una grande vicinanza nel sentire le emozioni e il teatro. Mi è stato vicino nei lavori importanti di Leo, da Amleto – e spesso mi ricordava quanto fossi giovane allora per il ruolo di Gertrude e quanto fosse difficile per me riuscire a muovermi in quelle splendide luci, precisissime, sezionate, ritagliate in un buio perfetto che dovevo percorrere in un secondo per trovarmi con il viso perfettamente inquadrato da un sagomatore! - al Ritorno di Scaramouche, nel quale, con la maschera bianca, interpretavo il ruolo di una Morte grottesca e tragica. Nella scena finale, la velocità delle mie braccia si calibrava con la sua abilità manuale di artista per dare la sensazione di due vere ali che si muovevano avvolte dalla musica di Bach. Non c’era nessun effetto speciale con il quale rispondere alle domande del pubblico ammirato: soltanto sincronia e una graduale trasformazione della luce in buio. di Elena Bucci
L’anno scorso il 22 febbraio ero a Torino, per le repliche del nostro spettacolo L’anima buona del Sezuan di B. Brecht. Si faceva un gran parlare della Cina, ma da diverse settimane io mi ero accorta che anche qui c’era qualcosa che non andava. Quando, per proteggere la compagnia di nascosto - mi deridevano per la mia ansia - ho voluto comprare dell’alcool, non si trovava più. Ricordo una domenica dalle strade deserte, era il 23 febbraio. Mi arrivò una telefonata: chiudono i teatri. Sembrava un film di fantascienza. Le persone con le mascherine in prima fila ci sembrarono un segno sinistro del futuro. di Elena Bucci
Quando sono arrivati tutti tra il 30 e il 31 luglio, attori, musicisti, tecnici ho capito che stavamo giocando d’azzardo per dare sostanza ad un sogno magico e difficile: ritrovarci con artisti di valore che stimiamo e con i quali c’è una particolare corrente di stima e amicizia per creare l’alchimia speciale che trasforma lo spettacolo in un’esperienza vera, un volo con il pubblico in un’altrove sconosciuto dove tutto è possibile, e, per un attimo, chiaro, dove piangere e ridere sono poi la stessa cosa. Non me ne ero resa conto, mentre disegnavamo il progetto, ma solo quando li ho avuti tutti davanti, potenti e belli: dopo la chiusura dei teatri e l’annullamento delle tournée, queste attrici e questi attori, anche autori, avevano voglia di ritrovare le radici della loro passione. Che paura. Avrei saputo creare condizioni e spazio per farlo? di Elena Bucci
Hai visto? dicono. Il 15 giugno riaprono! Ma chi, cosa? I cinema e i teatri, non sei contenta? Ma è lunedì, il giorno di chiusura. Davvero? Festeggiano. Ma quali teatri? quali cinema? Apriamo, apriamo. E chi non riesce peggio per lui. Apriamo, apriamo. Piccoli cinema storici in centro, teatri nel cuore di paesi e città, se non ce la fate chiudete, che è meglio. Tanto era così che doveva andare, prima o poi. Come tanti bravi soldatini marcianti eccoli pronti eccoli pronti. Apriamo i teatri il quindici giugno, tutti esultanti tutti esultanti. In televisione, senza scomodarsi per nulla, mandano un vecchio spettacolo di una coppia famosa riesumato dalle teche più antiche della vecchia tivù. Mentre parliamo di teatri che riaprono, dedichiamo un pensiero, al quale cercheremo di fare seguire un’azione, al Teatro di Tirana demolito all’alba di domenica scorsa. Dentro c’erano ancora attrici, attori, registi che sono stati trascinati via con la forza. I manifestanti sono stati trattenuti dalle forze di polizia. Al suo posto sarà costruito un centro commerciale con torri e un teatro. Ma quale teatro? Ci informiamo. Ricordiamo con emozione il nostro passaggio nel Teatro di Tirana con Il berretto a sonagli. In quell’occasione incontrammo artisti pieni di entusiasmo e di speranza per la nuova apertura all’Europa dell’Albania. Le ferite e le contraddizioni erano evidenti, ma si aprivano possibili strade al cambiamento. Al porto di Tirana, c’era una bancarella piena di culle di legno, tutta impolverata e chiusa con catene di ferro. In ogni angolo della campagna c’era una parabola satellitare. Dai muri dei teatri gelidi e senza riscaldamento e dai camerini impolverati e abbandonati ci guardavano dalle foto centinaia di artisti. Sento di non avere capito niente in questi giorni. (EB) Questo 19 maggio è una giornata speciale: avremmo dovuto debuttare al Teatro Il Piccolo di Milano con L’anima buona del Sezuan di B. Brecht, prodotto dal Centro Teatrale Bresciano ed Emilia Romagna Teatro. Era molto emozionante per noi portare il nostro spettacolo sul palcoscenico che aveva ospitato il capolavoro di Strehler, in tempi nei quali le compagnie erano ancora numerose. È un testo che continua a parlare ancora al cuore e alla mente, ma molto complesso e traboccante di personaggi: abbiamo potuto realizzarlo in nove attori soltanto più un musicista in scena e tre persone per audio, luci e scena grazie alla bravura, all’originalità e alla duttile generosità di una straordinaria compagnia. La preparazione è stata ricca di emozioni e scoperte che si sono moltiplicate nelle repliche fino all’ultima del 23 febbraio al Teatro Astra di Torino, con il pubblico che applaudiva forte e batteva i piedi sulla gradinata. Speriamo davvero che sia soltanto un arrivederci. (EB) Nel primo giorno di riapertura abbiamo ricevuto la visita della RAI in forma di due fantastiche persone che amano il loro lavoro, le arti e la cultura, Giovanna Greco che ha ideato e firma il servizio e Marco Sabino, che ha ripreso con cura i luoghi dove lavoriamo. Ci siamo confrontati sulle urgenti domande di questo periodo, sulla nostra storia e sulle visioni per il futuro. È stato un incontro che ha rafforzato la nostra fiducia nel valore della collaborazione e dell’ascolto in vista di progetti nuovi, aperti e di qualità. E poi, che gioia. (EB) Virginia Woolf è un genio: la sua scrittura fa vibrare la superficie delle cose, le rende trasparenti, così che per un attimo si può guardarci dentro e attraverso, come da soli non si saprebbe fare mai. Ho dedicato a lei e a Katherine Mansfield lo spettacolo Onde, per Napoli Teatro Festival: in attesa di portarlo in giro per il mondo, mi godo la compagnia di queste signore maestre. Per realizzare questo frammento video ho strappato le ultime pagine di Onde, libro magnifico, e le ho fatte mie. di Valerio Pietrovita
Camera da letto, Napoli. Da diversi giorni – sono ormai passate quasi due settimane dalla famosa prima riapertura – mi ritrovo davanti allo schermo del computer con l’intenzione di scrivere. Mi ci avvicino con la volontà di continuare questo strambo diario, riportare annotazioni, pagine scritte a penna, racconti su questi giorni trascorsi con un piede dentro e un piede fuori di casa. Però ogni volta rimando. Mi domando il perché. Sono certo che non è una questione di pigrizia. Credo che il tempo stia tornando a scorrere in fretta, forse è solo una mia strana esigenza quella di andarci contro. Allora decido di rallentare, e mi prendo altro tempo. È arrivato un pacco dagli Stati Uniti: in piena pandemia ecco otto copie dell’edizione americana del romanzo a disegni Sputa tre volte di Davide Reviati, che sarà distribuita anche in Gran Bretagna e in Canada. Per questa uscita Davide Reviati ha creato sette stupendi cortometraggi già in circolazione negli Stati Uniti e che speriamo di vedere presto anche qui. Intanto leggiamo le recensioni americane e inglesi. Davide Reviati suscita ogni tipo di elogio, ma nelle categorie proprio non ci sta e dimostra, senza volerlo, come il talento sfugga ad ogni definizione e anche per questo meriti la nostra attenzione che si risveglia e si interroga: è uno scrittore che sa disegnare meravigliosamente, un disegnatore che sa scrivere storie potenti che non si dimenticano, un poeta, un regista, se vuole anche un attore, sa intrattenere il pubblico come raramente si vede fare, si prepara con una meticolosità pazzesca e poi improvvisa narrazioni complesse volando, tagliando, azzardando, curioso di tutto, sa accontentarsi di nulla e del nulla fa un tutto. Di certo fa piacere vedere come possa ancora accadere che raccontando con originalità, autenticità e sapienza il proprio universo si sia accolti in tutto il mondo, come avvenga il miracolo di essere di casa ovunque anche senza viaggiare mai. L’arte è ancora un antidoto alla chiusura e alla paura. (EB) Ricevo in copia privata, da un amico caro, queste righe indirizzate alle sue figlie, fisicamente molto lontane da lui, emigrato in Brasile anni fa per rincorrere lo splendore di una donna bella e radiosa e rimasto poi in quel paese baciato dal sole e da una musica che entra direttamente nelle vene anche quando la luce di quel grande amore si è spenta. Non è una persona con cui vivere sia facile, questo amico caro. È un uomo ricco di labirinti profondi. Un uomo scomodo, impegnativo, spesso provocatorio. Però è un uomo pieno di amore, un amore sconfinato che si allarga in rivoli inattesi e prolifici, un amore spigoloso che attrae e spaventa, un amore limpido che può anche essere crudele. È anche un uomo che soffre intensamente e altrettanto intensamente ama godersi la vita, un dannato la cui lucida intelligenza è una lama perennemente piantata nel cuore. Così è, e non c’è niente da fare.
Alvaro Petricig ha creato per noi manifesti, locandine e programmi di sala originali e arditi, ma non è un grafico, ha girato splendidi documentari ma non vuole essere definito regista, ha realizzato magnifici libri e raffinati quaderni dedicati all’arte della fotografia e del ricordo, ma non si definisce uno studioso, non un autore e nemmeno un editore, racconta la storia sconosciuta di luoghi e persone, ma non si dice uno storico, recupera archivi di rara bellezza, ma non è archivista, ricerca di continuo ma non è un ricercatore, scrive assai bene ma non pensa affatto di essere uno scrittore. Si è conquistato il diritto di non definirsi vivendo in disparte, a San Pietro al Natisone, nelle valli, ma è un vero cittadino del mondo. Con il suo lavoro coglie nei particolari della sua terra l’intero universo e sa indicarlo agli altri con grazia e libertà, disegnando un percorso intellettuale e artistico che la sola parola anticonformista non riesce a contenere.
di Claudio de Maglio
Essere o non essere. Questo è il patema. Se sia più sensato sopportare i decreti ministeriali, le autocertificazioni, i TG main stream con le loro curve di positività giornaliera o gettare nel cesso la mascherina e, tirato lo sciacquone nella fogna, disperderla. Intasare il sifone, ascoltare Byoblu, l'avvocato Polacco, Montanari... sarebbe una soluzione da accogliere a braccia aperte. Ma chi vorrebbe con un solo click spegnere Facebook, Instagram, Tic Toc e Whatsapp e garantirsi al contempo un'informazione libera? di Marco Sgrosso
Ogni cosa, con tutti, è sempre stata una recita, la mia vita l’ho solamente recitata, mi dicevo nella bergère, io non vivo una vita effettiva, reale, io vivo ed esisto solamente in una recita, ho sempre soltanto recitato la mia vita, non ho mai avuto una vita effettiva, reale, e ho spinto talmente avanti questa mia idea che ho finito per credere a questa idea. (Thomas Bernhard) Oggi avrei dovuto debuttare con “A colpi d'ascia” all’Oratorio di San Giorgio di Piano, all’interno della rassegna Agorà, curata da quella creatura brillante e luminosa che è Elena Di Gioia, con un nuovo progetto covato già da qualche anno che sembrava giunto finalmente al suo primo vagito di vita in forma di lettura-concerto. Domani, 8 maggio, dalle ore 10 alle ore 24, per la rassegna on-line “Il posto delle fragole" il Centro Teatrale Bresciano manda in onda la registrazione video de La locandiera. http://www.centroteatralebresciano.it/il-posto-delle-fragole fotografie Tommaso Le Pera Qui sotto alcuni brani del servizio di presentazione trasmesso su Radio Onda d’Urto il 5 maggio scorso, a cura di Camillo Scaglia. 5 e 6 maggio 2020, Teatro Sociale di Brescia Non sentire il male - dedicato a Eleonora Duse ANNULLATO Cara Signora Duse, da quanti anni mi accompagni, sempre diversa, a seconda della mia età che cambia, dell’umore. E anche ora ci sei, in questo esilio dal teatro. Ho ritrovato i bozzetti per il primo allestimento, nel palazzo di San Giacomo abbandonato. Doveva essere solo per noi e per gli amici e invece siamo ancora qui. Ti ricordi? il freddo, la stufa, il grande temporale alla fine dello spettacolo. Non posso non pensare che sei morta per un colpo di freddo fatale per i tuoi fragili polmoni, per essere rimasta troppo tempo fuori nella neve, a bussare alla porta di un teatro che non si apriva. In America. (EB) da un racconto di Mario Giorgi voce Marco Sgrosso musiche Franco Naddei video Francesco Zucchi parte del progetto "L'asciugapensieri - Voci e suoni a distanza" |
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