CINEMA TEATRO ITALIA
racconti di esperienze d'arte dal pianeta Italia
a cura di Elena Bucci
Lina e Nella Baroncini erano due sorelle bolognesi, di origini romagnole, deportate per motivi politici a Ravensbrück insieme ai genitori e a una sorella maggiore che non sopravvissero. Le loro testimonianze furono raccolte a metà degli anni ’70 da Lidia Beccaria Rolfi e da Anna Maria Bruzzone. Eccone qualche frammento. Il 7 dicembre 2023, nel pomeriggio, con estrema grazia, la Giovanna ci ha salutato. Credevo di conoscerla, ma in questi ultimi mesi ho capito che era molto di più di quanto non sapessi, per quanto le voglia assai bene e la stimi infinitamente. Discreta, sommessa, vera artista, elegantissima, non faceva mai mostra del suo valore, che, di fronte alla malattia e alla morte, si è rivelato gigantesco, mentre lei, minuscola regina, diventava sempre più sottile e trasparente, con i capelli che crescevano vigorosi come una corona. Giovanna dice sempre di sì, all’umanità che incontrava lavorando in Comune, alla danza, al canto, al teatro, alla bocciofila, all’amicizia, alla vita, all’amore. Sì, sì, sì. Quando ha detto no agli amici era perché sentiva che qualcosa non andava. Da sola ha cercato le cause, da sola ha capito la gravità del suo male, ascoltandosi, riflettendo, senza mai scoraggiarsi, anzi, sostenendo chi la amava e si preoccupava. E poi, anche nella malattia, ha ricominciato a dire sì, ai responsi, alle cure, al dolore, agli ospedali. Sì. Il 5 dicembre sono andata a trovarla ed era tutta contenta perché aveva mangiato tutti i passatelli che le aveva fatto la Rosalba e che la moglie di suo figlio Luca, Eleonora, le aveva portato. Aveva mangiato anche la crema fatta in casa, aveva fatto merenda. Voleva prendere forza, migliorare, camminare. Mi ha raccontato di tutte le persone che la sono andate a trovare, ha ricordato le amiche e gli amici del teatro, abbiamo riso dei fatti che hanno reso meravigliosi i nostri anni insieme. Il giorno dopo era finalmente negativa al Covid e tutta contenta ha trotterellato avanti e indietro per i corridoi. Finalmente era finito l’isolamento e la sua camera era aperta a tutti e a tutto. Nel pomeriggio è arrivato il male grande, al quale si è consegnata, dicendo ancora una volta sì. Il 7 dicembre ha detto sì al passaggio ad un’altra vita, ad un’altra dimensione. Ha sempre sorriso, come sempre ha sorriso da quando la conosco. Così ha sorriso tutta l’estate e l’autunno, nonostante la malattia. Come una principessa stava a Punta Marina, immersa in quello scintillio speciale che hanno i posti di mare. Riceveva le visite, resisteva allo sconforto e al dolore con la grande fiducia che ha sempre avuto nel sì e nella vita. Non voleva per nulla addolorare tutte quelle persone che ora, senza di lei, si sentono orfane e sole. Così la tengo accanto, mentre mi insegna, ogni momento, a dimenticare il male e a dire sì, sì, sì, sempre con il sorriso. Ciao, Maestra. (EB) 19 dicembre 2023: Le belle bandiere dedicano a Giovanna Randi la terza serata de “Il Circolo delle arti” >> Ieri sera, dopo lo spettacolo, ci siamo fermati come sempre nel bellissimo chiostro dell’Arena del Sole, dove incontriamo pubblico e amici dopo lo spettacolo “Risate di gioia” che ci regala tante soddisfazioni e incontri. Ci aspettava tra gli altri, educatamente discosto, un ragazzo cinese dai capelli lunghi che si presenta con un nome italiano, Ezio. I ragazzi cinesi che vengono a studiare in Italia capiscono subito che non riusciremmo mai a pronunciare i loro veri nomi e ne acquisiscono uno inventato che forse assomiglia a quello originario. Mi racconta, con la luce negli occhi, che sta studiando all’Università di Bologna per approfondire la conoscenza del teatro e che tutto è partito nel 2015, sette anni fa, quando venne a vedere la nostra “Locandiera” al Teatro Nazionale di Pechino, dove andammo in tour grazie ad un contatto procurato dai nostri amici di Emilia Romagna Festival. Mi dice anche: «ho la prova!» e mi mostra una foto sul cellulare. Siamo noi, tutti in gruppo, circondati da ragazze e ragazzi cinesi del pubblico, c’è anche un ragazzino a sinistra con la giacca a vento rossa. «Questo sono io!» mi dice. Non l’avrei riconosciuto. Sì, è lui, ma ora è fiorito e il suo volto è illuminato. Mi viene da piangere. Molti momenti del nostro viaggio in Cina sono incisi nella mia memoria, ma non avrei mai immaginato di lasciare a mia volta un segno tanto profondo. Ci scambiamo numeri e mail. Il teatro allaccia, il teatro crea famiglia, il teatro annulla i confini. (EB) di Elena Bucci Quando Daniele Bolognesi, Enzo Bolognesi, Riccardo Morfino e Teresitta Pezzi - drappello di pacifici guerrieri della cultura che elenco in rigoroso ordine alfabetico - mi hanno fatto conoscere questo toccante scritto del nipote di Tosca Casadio ("Dimenticare Tosca"), ho subito desiderato dare voce al ritratto di questa donna appassionata, generosa e coraggiosa, nata a Russi e morta a Roma, vissuta in anni che hanno visto gli orrori del fascismo e della guerra. È il primo passo per un ritratto più ampio che spero di regalare al pubblico in una bella serata di settembre. Il progetto Archivio Vivo è anche questo: disegnare ritratti, conoscere altre vite, tramandarne il valore. (le foto che ritraggono Tosca Casadio appartengono all'archivio di Angelo Fanton) Immagini del Teatro Comunale di Russi prima della ristrutturazione - foto Andrea de Luca 1994 In questo aprile strano e pieno di domande, il Teatro Comunale di Russi compie vent’anni dalla sua riapertura, passati in un soffio. Sembra ieri quando, con la collaborazione entusiastica dell’Amministrazione Comunale, aprimmo il portone di quel teatro amato ma chiuso da vent’anni. Era il 1994. Trovammo la testa di Carlo Farini che ci aspettava appoggiata nell’atrio, la sala con le poltroncine di ferro battuto e velluto rosso divelte e accatastate nella platea piena di terra, il palcoscenico nella polvere, il sipario di velluto blu, lo schermo da cinema appeso. Da una voragine nel soffitto entrava una luce che sembrava quella di mille fari. Ci abitavano i piccioni. Lo spettacolo dei danni del tempo e dell’abbandono è molto spesso crudele e incantevole e racconta mille storie. Non immaginavamo che il filmato che realizzammo, con una telecamera ormai obsoleta, tutto mosso e storto, pieno dell’emozione del momento, sarebbe stato il primo atto di una lunga storia. Partì allora l’avventura delle ‘false riaperture’, con tutto il suo lavoro e il suo divertimento, con l’impegno di moltissime persone, enti, associazioni: erano spettacoli dentro il teatro distrutto, con proiezioni, luci, decine di attrici e attori, messaggi di solidarietà da tutta Italia e una folla di pubblico curioso, emozionato. Il teatro ora vivo racconta della grande vittoria collettiva di una comunità. Il governo ha deciso di riaprire cinema e teatri il 26 aprile 2021, ma per molti non è facile riprendere l’attività con un così breve preavviso, nonostante le molte idee e le intenzioni. In accordo con l’Amministrazione Comunale avevamo progettato diverse iniziative per festeggiare questi vent’anni, ma abbiamo deciso insieme di posticiparle un poco per essere certi di agire in piena sicurezza. Stiamo lavorando per aprire presto le finestre del teatro sulla città, sia dal Teatro Comunale stesso, sia da tanti altri luoghi che negli ultimi anni sono stati ritrovati e aperti a tutti. (EB) Quando è nata la collaborazione con Maurizio Viani?
Desidero prima fare una premessa. Sono molto felice che esca questo Speciale su di lui, ma so anche che in nessun modo potrò rispondere adeguatamente a queste vostre domande. È troppo importante, troppo lungo il mio rapporto di amicizia e collaborazione con Maurizio e troppo recente la sua partenza perché io riesca ad essere sintetica e precisa come a lui piacerebbe. Comunque ci proverò. Conosco Maurizio da quando ho cominciato a lavorare in teatro, con Leo de Berardinis, nel primo Re Lear che allestì a Bologna, produzione del Teatro Testoni ora Arena del Sole. Da quel momento in poi, nel quale ci squadrammo con attenzione, il nostro rapporto di collaborazione ed amicizia si è andato sempre più approfondendo, attraverso la confidenza e la realizzazione di molti spettacoli. È stato maestro e amico, abbiamo litigato furiosamente e abbiamo creato, senza bisogno di dire una parola, scene che giudico bellissime, fatte di una grande vicinanza nel sentire le emozioni e il teatro. Mi è stato vicino nei lavori importanti di Leo, da Amleto – e spesso mi ricordava quanto fossi giovane allora per il ruolo di Gertrude e quanto fosse difficile per me riuscire a muovermi in quelle splendide luci, precisissime, sezionate, ritagliate in un buio perfetto che dovevo percorrere in un secondo per trovarmi con il viso perfettamente inquadrato da un sagomatore! - al Ritorno di Scaramouche, nel quale, con la maschera bianca, interpretavo il ruolo di una Morte grottesca e tragica. Nella scena finale, la velocità delle mie braccia si calibrava con la sua abilità manuale di artista per dare la sensazione di due vere ali che si muovevano avvolte dalla musica di Bach. Non c’era nessun effetto speciale con il quale rispondere alle domande del pubblico ammirato: soltanto sincronia e una graduale trasformazione della luce in buio. Come era lavorare con lui? In che modo stabilivate il piano luci dei vostri spettacoli? La sua partecipazione artistica agli spettacoli di Leo era determinante. Insieme, per ore, parlottando nel buio della sala, studiavano gli spazi, creavano scene esuggestioni. Siamo sempre stati abituati a non distinguere tra voce, testo, gesto, luce, spazio. Spesso la risoluzione di un dialogo avveniva trovando la luce giusta. Noi attori siamo stati privilegiati dalla sua presenza attenta e critica a fondo sala: una volta acquisita la confidenza, sapevamo di poter contare sul suo sguardo che, con grande dedizione e grande umorismo, controllava e registrava crescite e cadute. Allo stesso modo, nel corso di molti anni, l’ho visto formare tanti tecnici, in modi diversi, a seconda delle loro stesse differenze. Ho visto ragazzi e ragazze lucidare il loro talento diventando persone responsabili e attente, curiose e libere. I tecnici con i quali Maurizio ha lavorato, pur passando attraverso i suoi meravigliosi insulti e il fuoco delle sue brucianti e divertentissime considerazioni, sono diventati quasi tutti preziosi custodi del mestiere del teatro nelle sue accezioni più profonde e misteriose che, pur parlando di anarchici, sfiorano una dedizione quasi mistica verso la bellezza del fare le cose al meglio, proprio come vanno fatte. In questo processo si mescolano continuamente il senso della tradizione e la curiosità verso il nuovo. Maurizio era sempre affascinato dalle novità, anche se spesso le malediceva per la sempre più diffusa necessità del computer. Lui adorava invece mantenere il passaggio attraverso le mani, sempre diverso, sempre sensibile, sempre in sintonia con il continuo mutare della scena e degli attori. Precisissimo nel cercare le luci e nell’eliminare i facili effetti, odiava ripetere gli spettacoli: infatti, pur rispettando il disegno, le sue luci non erano mai uguali! Non sopportava le omologazioni e le costrizioni e soffriva molto della violenza culturale delle luci computerizzate che, per natura e mercato, stanno cancellando anche la sola possibilità del lavoro in manuale. Ogni volta, con lui in consolle, si partiva per un viaggio diverso, a seconda del luogo, del pubblico, dell’energia della serata. E come sentivo se stavo recitando bene o male, se ero autentica o falsa.... Mi chiamava “Madame” e pretendeva moltissimo da me. Una volta lo delusi così tanto che, per un attimo, mi tolse la luce. Fu un attimo. Restai come fulminata. E poi tutto riprese come prima, molto meglio di prima. Non lo consiglio come metodo però! ... Ci ha insegnato a difendere la dignità del nostro lavoro in un periodo storico e in uno stato dove i teatri hanno perso sempre più il loro ruolo naturale e dove la politica culturale ha spesso ignorato le anacronistiche ma necessarie caratteristiche dello spettacolo dal vivo. Ma qui comincia un lunghissimo discorso da affrontare in altra sede... Dopo l’esperienza con Leo De Berardinis, come si è evoluto il rapporto professionale con lui? La collaborazione è continuata anche quando ho fondato con Marco Sgrosso la compagnia Le belle bandiere e abbiamo cominciato l’avventura con Dialogues di Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Maurizio si presentava alle prove con una profonda conoscenza del testo e delle sue implicazioni e con una serie di curiosità da soddisfare. Tra la sua immaginazione e quello che vedeva il primo giorno di prove scaturiva una meravigliosa conflagrazione. La prima cosa che diceva era che lo spettacolo andava bene così, che non c’era bisogno di lui e che potevamo usare un piazzato o delle candele. Poi cominciava, con la squadra tecnica, a montare decine e decine di riflettori, per eliminarli piano piano nel corso delle prove. La sfida a contenere i costi per il rispetto dell’economia delle nostre piccole e semi indipendenti compagnie, era diventata per lui un generoso atto di sintesi e di ricerca del massimo risultato attraverso il minimo dispendio di tempo e mezzi. C’è un aneddoto in particolare che vuoi raccontarci? Una piccola cosa per tutte, che riguarda Le smanie per la villeggiatura, interpretate da quattro attori soltanto e che poi vinse il Premio ETI come migliore spettacolo (gli attori eravamo noi che firmavamo anche la regia): di fronte al problema dei cambi di scena e di casa, scanditi dal sempre preciso Goldoni, Maurizio suggerì, visto che avevamo coperto di bianco le nostre cinque sedie come quando si parte per un lungo viaggio, di far volare semplicemente quella stoffa, girandola dall’altra parte. Ci avrebbe poi pensato lui con la luce a colorarla diversamente, passando dal calore di una casa ricca al triste abbandono di quella più povera. Quante volte ripeteva che andava contro il lavoro di noleggio della sua stessa famiglia... Era vero. La magia di certe luci era data dalla loro splendida integrazione con la scena, dal tempo, dal movimento, dall’inclinazione del faro e dalla sua particolare qualità e non certo dalla quantità, dallo sfarzo o dalla ricerca di un facile effetto epidermico. Poi ha continuato la collaborazione anche quando le due compagnie hanno deciso di percorrere cammini diversi. In quel momento è andato ancora mutando il mio rapporto con lui. Mentre prima era Stefano a stargli accanto mentre io mi muovevo sulla scena con gli attori cercando di interpretare dal palco le luci che mi si muovevano intorno, ora ero io a guardare con lui. Nei momenti cruciali però, dopo vani tentativi e molto nervosismo, ogni volta scoprivamo che le soluzioni più sintetiche e valide dei passaggi complessi derivavano da una forma di improvvisazione: andavo sul palco e lui creava, poi io rispondevo e così via. In seguito si formalizzavano i tempi e si migliorava la tecnica, ma a partire da un nucleo trovato in questo modo. Ricordo la scena del sogno in Hedda Gabler, o la scena di Lady Macbeth, creata soltanto con dei riflessi che arrivavano da fari in quinta puntati contro delle speciali gelatine che aveva trovato girellando qua e là nei cantieri edili... Mi ha accompagnato anche nei miei lavori in solo, da Non sentire il male, dedicato a Eleonora Duse, fino a Juana de la Cruz, riuscendo sempre a trasformare gli ostacoli economici e di spazio in geniali soluzioni artistiche. Non dimentico come mi aiutò ad evocare la Duse semplicemente prolungando e sviluppando un uso sapiente di due fari in controluce e come sfruttò i trabattelli da muratore che usavo in Juana come supporti per luci stranissime e autoportanti... Quanto, quanto ci sarebbe da dire... Quanto conta il piano luci nei vostri spettacoli e quanto contava il lavoro del vostro light designer? Concepiva sempre il disegno delle luci in concerto con il movimento delle musiche, degli attori, del susseguirsi delle scene. Lo spettacolo era un vero e proprio organismo, con un suo ritmo e un suo respiro. Il suo disegno luci era come una sorta di partitura ritmica, nella quale il movimento, il tempo e la sintonia erano fondamentali. Il primo passo consisteva sempre nell’individuare i grandi momenti di cambio per passare poi ai più piccoli. A volte, nel corso del lavoro, si ribaltavano gli esiti all’improvviso, una volta trovato il cuore del ritmo e la giusta sintesi dell’immagine. “El duende”, diceva lui, e interrompeva quando era svanito... Credo che si possa comprendere da quanto detto finora che la luce era ed è un elemento importantissimo per il nostro lavoro. Non ci siamo mai serviti di scenografie importanti, ma abbiamo sempre sentito che il nostro modo di lavorare era legato alla capacità di evocazione degli attori in scena e dei tecnici fuori scena. In fondo il cinema e la televisione ci offrono ogni tipo di effetto speciale o di ricostruzione del reale. In teatro mi piace suggerire attraverso il vuoto, la luce, il suono. Trovo molto vitale affinare dei mezzi al punto da poter cambiare come cambiamo noi. Per questo, anche se stimo molto il lavoro di tutti, una scenografia mi spaventa, mentre una scena di luce mi esalta. Ogni giorno, dopo ogni replica, si poteva cambiare a seconda delle nuove scoperte e della crescita dello spettacolo. Maurizio però era ben lontano da teorizzare tutto questo: era talmente ricco di talento che avrebbe potuto creare all’impronta luci bellissime e sempre molto diverse per lo stesso tipo di spettacolo. Era una vertigine pericolosa e lui lo sapeva. Per questo si ancorava saldamente ad un disegno supportato dal pensiero e dalla riflessione e soltanto in seguito mutava e cambiava, nei limiti concessi dal rispetto del lavoro di tutti e senza mai disorientare, ma aiutando. Era molto importante per lui sottolineare sempre che il suo lavoro aveva senso se si integrava con quello degli altri e se sosteneva lo spettacolo e gli attori. Eppure la sua genialità era tale che la scelta era sempre dolorosa e difficile. Quante volte mi ha letteralmente intontito mostrandomi una serie di luci meravigliose e poi chiedendomi: “Quale scegliamo, Madame?”. La scelta diventava filosofica ed esistenziale e costringeva ogni volta a domande intense sul senso stesso del teatro che andavamo facendo. Nell’ultimo periodo della sua malattia, pur stando in ospedale, Viani ha continuato a seguire il disegno luci dello spettacolo Antigone che stavate preparando assieme (e che ora è in tournée)…. È forse presto per dirlo e forse non lo dirò mai. Posso soltanto affermare che, ogni volta che andrò in scena e ogni volta che farò uno spettacolo, sentirò Maurizio vicino. Quello che mi ha dato non è soltanto una serie di meravigliose luci o una sequenza di memorie: mi ha regalato una consapevolezza e un sapere che cercherò di interpretare al meglio. Molta della sua energia, come ho già detto, era indirizzata a trasmettere strumenti e non solo a realizzare piani luci. Di questo non finirò mai di essergli grata, anche se mi ha fatto pagare prezzi che mi fecero piangere e ora mi fanno ridere di cuore e, insieme con me, ridono e sorridono tutti coloro che l’hanno conosciuto. E il caso, che caso non è, ha voluto che l’ultimo spettacolo fosse Antigone, nel quale si parla di cura e amore per chi non è più, di rispetto della memoria, di riti collettivi necessari alla comunità e di contrasto tra sentire e potere. Era preoccupato della questione del coro e quando gli descrivevo le soluzioni era molto contento e soddisfatto. Leggeva in ospedale quel testo denso che parlava di morte e io mi maledicevo per non avere pensato che proprio questo sarebbe accaduto. Eppure, fino all’ultimo è stato curioso e forte, anche in questo, maestro. Continuava a ripassare le luci dei vari spettacoli e una volta mi ha detto che erano proprio stati sciocchi, lui e Leo, a non avere montato una camera bianca per Totò principe di Danimarca. Ho capito ancora una volta, in quei momenti estremi, quanto la luce fosse per lui un modo per discorrere con l’esistenza, per scrivere, per pensare, per amare. Era tutto questo a rendere il suo lavoro tanto prezioso. Ebbe subito l’intuizione di un controluce rosso e di una ferita rossa sul fondale. Discusse poi il piano luci con Davide Cavandoli e con me varie cose che si andavano formando. Esistono trasmissioni normali, tecniche, telepatiche ed esistono modi di stare in ascolto che sfruttano tutto quello che si può. Davide ed io desideravamo che Maurizio approvasse quello che di volta in volta facevamo e cercavamo di guardare con i suoi occhi. Non so dire altro se non che il suo lavoro, le sue parole, il senso della sua presenza ci accompagna ancora e sempre ci accompagnerà. I suoi modi di dire, di lavorare, di creare, risuonano e rivivono sempre, nei teatri dove andiamo, ripetuti e ricreati da chi l’ha conosciuto e amato. [intervista a Elena Bucci, a cura di Chiediteatro - 25 gennaio 2012] (vedi anche "Addio a Maurizio Viani" di Massimo Marino - Corriere di Bologna/BOblog >>) di Elena Bucci
L’anno scorso il 22 febbraio ero a Torino, per le repliche del nostro spettacolo L’anima buona del Sezuan di B. Brecht. Si faceva un gran parlare della Cina, ma da diverse settimane io mi ero accorta che anche qui c’era qualcosa che non andava. Quando, per proteggere la compagnia di nascosto - mi deridevano per la mia ansia - ho voluto comprare dell’alcool, non si trovava più. Ricordo una domenica dalle strade deserte, era il 23 febbraio. Mi arrivò una telefonata: chiudono i teatri. Sembrava un film di fantascienza. Le persone con le mascherine in prima fila ci sembrarono un segno sinistro del futuro. di Elena Bucci
Quando sono arrivati tutti tra il 30 e il 31 luglio, attori, musicisti, tecnici ho capito che stavamo giocando d’azzardo per dare sostanza ad un sogno magico e difficile: ritrovarci con artisti di valore che stimiamo e con i quali c’è una particolare corrente di stima e amicizia per creare l’alchimia speciale che trasforma lo spettacolo in un’esperienza vera, un volo con il pubblico in un’altrove sconosciuto dove tutto è possibile, e, per un attimo, chiaro, dove piangere e ridere sono poi la stessa cosa. Non me ne ero resa conto, mentre disegnavamo il progetto, ma solo quando li ho avuti tutti davanti, potenti e belli: dopo la chiusura dei teatri e l’annullamento delle tournée, queste attrici e questi attori, anche autori, avevano voglia di ritrovare le radici della loro passione. Che paura. Avrei saputo creare condizioni e spazio per farlo? di Elena Bucci
Hai visto? dicono. Il 15 giugno riaprono! Ma chi, cosa? I cinema e i teatri, non sei contenta? Ma è lunedì, il giorno di chiusura. Davvero? Festeggiano. Ma quali teatri? quali cinema? Apriamo, apriamo. E chi non riesce peggio per lui. Apriamo, apriamo. Piccoli cinema storici in centro, teatri nel cuore di paesi e città, se non ce la fate chiudete, che è meglio. Tanto era così che doveva andare, prima o poi. Come tanti bravi soldatini marcianti eccoli pronti eccoli pronti. Apriamo i teatri il quindici giugno, tutti esultanti tutti esultanti. In televisione, senza scomodarsi per nulla, mandano un vecchio spettacolo di una coppia famosa riesumato dalle teche più antiche della vecchia tivù. Mentre parliamo di teatri che riaprono, dedichiamo un pensiero, al quale cercheremo di fare seguire un’azione, al Teatro di Tirana demolito all’alba di domenica scorsa. Dentro c’erano ancora attrici, attori, registi che sono stati trascinati via con la forza. I manifestanti sono stati trattenuti dalle forze di polizia. Al suo posto sarà costruito un centro commerciale con torri e un teatro. Ma quale teatro? Ci informiamo. Ricordiamo con emozione il nostro passaggio nel Teatro di Tirana con Il berretto a sonagli. In quell’occasione incontrammo artisti pieni di entusiasmo e di speranza per la nuova apertura all’Europa dell’Albania. Le ferite e le contraddizioni erano evidenti, ma si aprivano possibili strade al cambiamento. Al porto di Tirana, c’era una bancarella piena di culle di legno, tutta impolverata e chiusa con catene di ferro. In ogni angolo della campagna c’era una parabola satellitare. Dai muri dei teatri gelidi e senza riscaldamento e dai camerini impolverati e abbandonati ci guardavano dalle foto centinaia di artisti. Sento di non avere capito niente in questi giorni. (EB) Questo 19 maggio è una giornata speciale: avremmo dovuto debuttare al Teatro Il Piccolo di Milano con L’anima buona del Sezuan di B. Brecht, prodotto dal Centro Teatrale Bresciano ed Emilia Romagna Teatro. Era molto emozionante per noi portare il nostro spettacolo sul palcoscenico che aveva ospitato il capolavoro di Strehler, in tempi nei quali le compagnie erano ancora numerose. È un testo che continua a parlare ancora al cuore e alla mente, ma molto complesso e traboccante di personaggi: abbiamo potuto realizzarlo in nove attori soltanto più un musicista in scena e tre persone per audio, luci e scena grazie alla bravura, all’originalità e alla duttile generosità di una straordinaria compagnia. La preparazione è stata ricca di emozioni e scoperte che si sono moltiplicate nelle repliche fino all’ultima del 23 febbraio al Teatro Astra di Torino, con il pubblico che applaudiva forte e batteva i piedi sulla gradinata. Speriamo davvero che sia soltanto un arrivederci. (EB) Nel primo giorno di riapertura abbiamo ricevuto la visita della RAI in forma di due fantastiche persone che amano il loro lavoro, le arti e la cultura, Giovanna Greco che ha ideato e firma il servizio e Marco Sabino, che ha ripreso con cura i luoghi dove lavoriamo. Ci siamo confrontati sulle urgenti domande di questo periodo, sulla nostra storia e sulle visioni per il futuro. È stato un incontro che ha rafforzato la nostra fiducia nel valore della collaborazione e dell’ascolto in vista di progetti nuovi, aperti e di qualità. E poi, che gioia. (EB) Virginia Woolf è un genio: la sua scrittura fa vibrare la superficie delle cose, le rende trasparenti, così che per un attimo si può guardarci dentro e attraverso, come da soli non si saprebbe fare mai. Ho dedicato a lei e a Katherine Mansfield lo spettacolo Onde, per Napoli Teatro Festival: in attesa di portarlo in giro per il mondo, mi godo la compagnia di queste signore maestre. Per realizzare questo frammento video ho strappato le ultime pagine di Onde, libro magnifico, e le ho fatte mie. È arrivato un pacco dagli Stati Uniti: in piena pandemia ecco otto copie dell’edizione americana del romanzo a disegni Sputa tre volte di Davide Reviati, che sarà distribuita anche in Gran Bretagna e in Canada. Per questa uscita Davide Reviati ha creato sette stupendi cortometraggi già in circolazione negli Stati Uniti e che speriamo di vedere presto anche qui. Intanto leggiamo le recensioni americane e inglesi. Davide Reviati suscita ogni tipo di elogio, ma nelle categorie proprio non ci sta e dimostra, senza volerlo, come il talento sfugga ad ogni definizione e anche per questo meriti la nostra attenzione che si risveglia e si interroga: è uno scrittore che sa disegnare meravigliosamente, un disegnatore che sa scrivere storie potenti che non si dimenticano, un poeta, un regista, se vuole anche un attore, sa intrattenere il pubblico come raramente si vede fare, si prepara con una meticolosità pazzesca e poi improvvisa narrazioni complesse volando, tagliando, azzardando, curioso di tutto, sa accontentarsi di nulla e del nulla fa un tutto. Di certo fa piacere vedere come possa ancora accadere che raccontando con originalità, autenticità e sapienza il proprio universo si sia accolti in tutto il mondo, come avvenga il miracolo di essere di casa ovunque anche senza viaggiare mai. L’arte è ancora un antidoto alla chiusura e alla paura. (EB) Alvaro Petricig ha creato per noi manifesti, locandine e programmi di sala originali e arditi, ma non è un grafico, ha girato splendidi documentari ma non vuole essere definito regista, ha realizzato magnifici libri e raffinati quaderni dedicati all’arte della fotografia e del ricordo, ma non si definisce uno studioso, non un autore e nemmeno un editore, racconta la storia sconosciuta di luoghi e persone, ma non si dice uno storico, recupera archivi di rara bellezza, ma non è archivista, ricerca di continuo ma non è un ricercatore, scrive assai bene ma non pensa affatto di essere uno scrittore. Si è conquistato il diritto di non definirsi vivendo in disparte, a San Pietro al Natisone, nelle valli, ma è un vero cittadino del mondo. Con il suo lavoro coglie nei particolari della sua terra l’intero universo e sa indicarlo agli altri con grazia e libertà, disegnando un percorso intellettuale e artistico che la sola parola anticonformista non riesce a contenere.
Domani, 8 maggio, dalle ore 10 alle ore 24, per la rassegna on-line “Il posto delle fragole" il Centro Teatrale Bresciano manda in onda la registrazione video de La locandiera. http://www.centroteatralebresciano.it/il-posto-delle-fragole fotografie Tommaso Le Pera Qui sotto alcuni brani del servizio di presentazione trasmesso su Radio Onda d’Urto il 5 maggio scorso, a cura di Camillo Scaglia. 5 e 6 maggio 2020, Teatro Sociale di Brescia Non sentire il male - dedicato a Eleonora Duse ANNULLATO Cara Signora Duse, da quanti anni mi accompagni, sempre diversa, a seconda della mia età che cambia, dell’umore. E anche ora ci sei, in questo esilio dal teatro. Ho ritrovato i bozzetti per il primo allestimento, nel palazzo di San Giacomo abbandonato. Doveva essere solo per noi e per gli amici e invece siamo ancora qui. Ti ricordi? il freddo, la stufa, il grande temporale alla fine dello spettacolo. Non posso non pensare che sei morta per un colpo di freddo fatale per i tuoi fragili polmoni, per essere rimasta troppo tempo fuori nella neve, a bussare alla porta di un teatro che non si apriva. In America. (EB) Carissimi amiche e amici, i contributi che ci sono arrivati per queste pagine sono belli, autentici, multiformi, ricchi. Felici di essere partiti, ci prendiamo un breve respiro per riflettere su come restituire i contributi, il fiume di suggestioni evocate dalla rivoluzione della clausura, le molte istanze che il popolo dello spettacolo sta proponendo per il futuro, le emozioni e le contraddizioni delle videoconferenze, dei documenti, delle relazioni con la politica. I contributi sono ben ordinati e custoditi, i pensieri sono un turbine in movimento. Un passo dopo l’altro si va a disegnare un mondo nuovo: disperdere e dimenticare nella fretta dell’azione quanto visto e sentito fino a questo momento e consegnarci per abitudine a vecchi meccanismi dolorosi, sarebbe perdere una grande occasione. Scusateci se per qualche giorno camminiamo in punta di piedi. (EB) di Alessandra De Luca
Ecco un altro incontro che ci fa rivalutare la rete: Alessandra De Luca, il suo progetto e i suoi studenti. Abbiamo incontrato Alessandra più volte, sia al Palladium di Roma dove mette tutta la sua passione e competenza al servizio della diffusione del teatro, sia come attrice e autrice intelligente e sensibile che abbiamo diretto con emozione e piacere nell’opera Heroides da Ovidio, prodotto da Cantieri Teatrali Koreja con la collaborazione della nostra compagnia. Ora la ritroviamo attraverso una piattaforma della rete, in un appuntamento con il suo gruppo di studenti, durante il quale ci siamo appassionati e abbiamo perso il senso del tempo nel rispondere alle loro domande sul nostro spettacolo, Prima della pensione di Thomas Bernhard, programmato al Palladium e poi saltato, sulla relazione tra la sconcertante situazione del presente, le sue emozioni e la necessità di elaborarle attraverso le arti e la cultura, sull’immaginazione del futuro. Il progetto, che pubblichiamo, racconta tutti gli intenti. Noi non possiamo che confermare il nostro piacere e la nostra gioia nell’incontrare studentesse e studenti preparati, curiosi ed entusiasti. Si aggiunge una speranza per il futuro. (EB) di Elena Bucci
Ho accettato subito l’invito a partecipare a questo incontro in video. Conosco Marco, Silvia e il loro gruppo da tempo e ho sempre trovato in loro onestà e ricerca di qualità artistica e umana. In più hanno la voglia di costruire con pazienza isole di felicità, luoghi dove imparare e crescere nel rispetto e nell’ascolto di tutti. Ma ero emozionata e agitata: sarei riuscita a comunicare con loro e con altre trenta e più persone? Oggi, 25 aprile, ricordiamo e ringraziamo tutti coloro che ci insegnano ad essere liberi di scegliere, a servire gli ideali senza diventare servi: è entusiasmante, mai scontato, ritrovare e rileggere la storia di tante donne e uomini generosi e coraggiosi.
Abbiamo dedicato questo tempo al viaggio nella memoria, ritrovando un senso nuovo e diverso del presente. Mentre gli svelamenti si susseguono, belli e brutti, stiamo alla finestra cercando di ascoltare, guardare, riflettere, capire. Il teatro e le arti paiono cambiare forma ad ogni epoca, ad ogni sussulto della storia, ma pur cambiando paiono anche restare identici e necessari nella loro essenza. Insieme a tanti altri, mentre immaginiamo un loro possibile futuro, proviamo a costruirlo. (EB) di Elena Bucci
A Russi, in Romagna, hanno avuto proprio una bella idea in Comune, pensando che tanti anziani continuano a vivere come se niente fosse a magari anche da soli e possono avere bisogno di fare la spesa o di altre necessità. Visto che non si faceva più nulla, niente scuola niente teatro, niente parchi niente banda niente scuola di musica niente biblioteca niente consigli comunali giunta niente di niente niente associazioni pro loco porta nova arcobaleno il ricamo bizantino la piadina niente, allora hanno messo le impiegate del settore cultura e anche qualche volontaria a telefonare agli anziani: come va? ha bisogno? Le prime notizie sono i canali di Venezia trasparenti, poi il mare di Napoli di vetro, poi gli anatroccoli che seguono tutti in fila la mamma che passeggia nelle strade principali dei paesoni industriali, poi i cervi sdraiati sotto i cartelli stradali, poi i delfini nel porto che saltano a un passo dalla banchina. Sono tornati subito gli animali, appena si è fatto più silenzio. Aria e acqua hanno cominciato le pulizie. Noi non abbiamo niente da aggiungere che non sia già stato fatto e compreso. |
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