Il teatro cambia la vita
di Elena Bucci
Il Teatro Comunale di Russi è stato il primo nel quale sono entrata, da bambina. Sono salita sul palco e sono rimasta stregata. Quasi subito dopo è stato chiuso e forse è per questo che poi abbiamo tanto lavorato perché fosse riaperto.
Il teatro cambia la vita dei luoghi, delle persone, delle comunità, aiuta a intravedere l’autentico sotto le increspature delle abitudini, trasforma lo scorrere dei giorni in sogno e racconto.
A Marco Sgrosso e a me, fondatori e direttori artistici della compagnia di teatro Le belle bandiere, ha cambiato la vita mandando all’aria brillanti carriere universitarie, costernando le famiglie e proiettandoci in un’esistenza nomade dalle molte case, una delle quali è Russi, dove sono nata. Marco è diventato cittadino di Russi quasi più di me e parla anche un po’ del nostro rovente dialetto. Ci siamo incontrati alla Scuola di Teatro di Bologna, insieme abbiamo lavorato in importanti compagnie nazionali, tra le quali quella del nostro maestro Leo de Berardinis, insieme siamo tornati in Romagna, invitati dall’allora Assessore alla cultura Emilio Vita, a presentare il nostro primo spettacolo da autori, L’amore delle pietre, che Leo aveva con forza sostenuto. Noi proponemmo anche una rassegna e un laboratorio. Cominciò così una storia che sembra una favola: con il sostegno dell’amministrazione comunale, del sindaco Bolognesi, di cittadini, studiosi, giornalisti, artisti, altre compagnie e associazioni, si innescò una spirale di azioni, eventi, incontri, spettacoli che non si fermò più. Nel Cinema Teatro parrocchiale Jolly, dove da ragazzina avevo recitato, realizzammo le rassegne Le belle bandiere che diedero il nome alla compagnia, fondata nel 1993: presentavamo i nostri spettacoli, come Cavalieri erranti, quelli di artisti di tutta Italia e insoliti esperimenti pieni di sorprese e scoperte. Il pubblico si affollava sempre più partecipe e curioso. Al Laboratorio Teatrale Permanente si iscrissero piùdi settanta ragazzi entusiasti, con i quali abbiamo realizzato eventi e spettacoli in molti luoghi della memoria abbandonati come Il Palazzo San Giacomo, l’ex-Chiesa in Albis, l’ex Macello, case private, ex fabbriche, restituendoli alla città, avviandoli al processo di recupero, conquistando l’attenzione e il sostegno di molti cittadini, senza barriere di età, censo, credo politico, creando un nuovo pubblico numeroso, innescando variegate collaborazioni e un movimento di energia che portò a trasformare la città in teatro, anche se il teatro della città, ferito, chiuso da vent’anni, dormiva. Dalle finestre del Jolly guardavamo la facciata di quel luogo creato dai cittadini del passato e ci parve solo. Avuto nel marzo 1994 il permesso di entrare, trovammo il testone abbandonato della statua di Farini, la cacca dei piccioni, il sipario cadente, la platea in macerie, il tetto sventrato, ce ne siamo innamorati e abbiamo organizzato la Falsa riapertura numero zero, con le diapositive del dipinto del sipario sulla facciata e dentro la musica del Rigoletto, l’opera che inaugurò il teatro nel 1887. Alla finestra i manichini con maschere e costume spiavano fuori. Cominciò così il nostro cammino verso la riapertura: scritti, libri, interviste, eventi nel teatro distrutto, le False riaperture durante la sagra settembrina detta Fira di Sett Dulur, L’erba anadrena, La città in teatro, Mattoni, Azioni clandestine, Le Belle Bandiere per il teatro, I sensi del teatro e poi funerali, processioni, tamburi, stendardi, spettacoli in ogni angolo del paese. Si risvegliò nei cittadini la nostalgia, la memoria degli spettacoli, dei veglioni, per chi c’era stato, e il desiderio, per chi non ne conosceva l’esistenza, di un luogo che fosse espressione della cultura di una terra, finestra spalancata sul mondo, tempio laico della comunità e casa delle storie di tutti. Fu un’onda di entusiasmo che travolse gli ostacoli, annullò le fatiche, vinse le paure. L’orefice, che era anche un mago illusionista di nome Mirikoff, raccontava di come, piangendo, si fosse portato a casa in cariola i pezzi del soffitto affrescato buttato giù nel corso di un tentativo fallito di recupero. Accompagnammo quindi con cura anche il percorso di progettazione e ristrutturazione: avevamo visto troppi teatri sbagliati nella nostra Italia!
Partirono in volo tutti insieme ragazze e ragazzi, uomini, donne, bambini, cittadini, gli assessori, il sindaco, gli impiegati comunali, il fabbro, i metalmeccanici, i contadini, gli insegnanti, i fotografi, la parrocchia, i partiti, le banche con i buoni ordinari comunali per il teatro, le associazioni, la Pro Loco e tanti altri. E dopo molte ferite, fatiche, gioie, regali, sorprese, il teatro riaprì e gli abbonamenti furono venduti tutti in un lampo alle prime luci del mattino. A primi spettacoli della compagnia, nel teatro strapieno e luccicante, furono lanciati sul palco petali di rose: Terramatermatrigna, per gli attori del laboratorio, Non sentire il male, per Eleonora Duse, che ancora vive, Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello, che ha viaggiato per anni.
Da allora il Teatro ha ospitato prove e debutti di molti spettacoli a noi cari, realizzati in collaborazione con teatri di tutta Italia, con straordinari artisti che ne ricordano il nome con affetto ed emozione. Poi sono arrivati i premi ETI-Olimpici per il teatro, Viviani, UBU, Duse, Hystrio Altre Muse e ANCT, che si affiancano ai premi assegnati dal Comune di Russi e dalle sue associazioni, Città di Russi e Artoran a Ross. Il teatro è diventato un punto di riferimento per l’alta formazione di attori e tecnici. I ricordi belli nascosti nelle sue sale, le ombre che abitano il palco, il calore del suo pubblico, il sostegno della cittàcontinuano a portarci fortuna, a darci coraggio, a spingerci a indagare le emozioni più autentiche.
Tutti noi che abbiamo partecipato all’impresa non siamo più ragazzi, come tutti coloro che ci hanno sostenuto e seguito, ma quando insieme pensiamo al teatro pieno, vivo, dove molti amici sono passati, dove resiste il pubblico di allora e ne arriva sempre di nuovo, siamo di nuovo là, in quei giorni di speranza, fiducia e creazione dei quali andiamo fieri. Lo raccontiamo perché chiunque abbia un sogno sappia che si può avverare. Senza quel movimento di tutti, innescato da un gruppo di ragazzi, il Teatro forse non ci sarebbe.
Crediamo sempre più che il teatro sia catarsi, trasformazione del dolore, condivisione dei misteri dell’esistenza, motore di gioia, riflessione emotiva che ci rende liberi di essere diversi e capaci di sentirci simili, solidali e aperti al cambiamento. La forza delle radici fa allungare i rami verso l’alto.
di Elena Bucci
Il Teatro Comunale di Russi è stato il primo nel quale sono entrata, da bambina. Sono salita sul palco e sono rimasta stregata. Quasi subito dopo è stato chiuso e forse è per questo che poi abbiamo tanto lavorato perché fosse riaperto.
Il teatro cambia la vita dei luoghi, delle persone, delle comunità, aiuta a intravedere l’autentico sotto le increspature delle abitudini, trasforma lo scorrere dei giorni in sogno e racconto.
A Marco Sgrosso e a me, fondatori e direttori artistici della compagnia di teatro Le belle bandiere, ha cambiato la vita mandando all’aria brillanti carriere universitarie, costernando le famiglie e proiettandoci in un’esistenza nomade dalle molte case, una delle quali è Russi, dove sono nata. Marco è diventato cittadino di Russi quasi più di me e parla anche un po’ del nostro rovente dialetto. Ci siamo incontrati alla Scuola di Teatro di Bologna, insieme abbiamo lavorato in importanti compagnie nazionali, tra le quali quella del nostro maestro Leo de Berardinis, insieme siamo tornati in Romagna, invitati dall’allora Assessore alla cultura Emilio Vita, a presentare il nostro primo spettacolo da autori, L’amore delle pietre, che Leo aveva con forza sostenuto. Noi proponemmo anche una rassegna e un laboratorio. Cominciò così una storia che sembra una favola: con il sostegno dell’amministrazione comunale, del sindaco Bolognesi, di cittadini, studiosi, giornalisti, artisti, altre compagnie e associazioni, si innescò una spirale di azioni, eventi, incontri, spettacoli che non si fermò più. Nel Cinema Teatro parrocchiale Jolly, dove da ragazzina avevo recitato, realizzammo le rassegne Le belle bandiere che diedero il nome alla compagnia, fondata nel 1993: presentavamo i nostri spettacoli, come Cavalieri erranti, quelli di artisti di tutta Italia e insoliti esperimenti pieni di sorprese e scoperte. Il pubblico si affollava sempre più partecipe e curioso. Al Laboratorio Teatrale Permanente si iscrissero piùdi settanta ragazzi entusiasti, con i quali abbiamo realizzato eventi e spettacoli in molti luoghi della memoria abbandonati come Il Palazzo San Giacomo, l’ex-Chiesa in Albis, l’ex Macello, case private, ex fabbriche, restituendoli alla città, avviandoli al processo di recupero, conquistando l’attenzione e il sostegno di molti cittadini, senza barriere di età, censo, credo politico, creando un nuovo pubblico numeroso, innescando variegate collaborazioni e un movimento di energia che portò a trasformare la città in teatro, anche se il teatro della città, ferito, chiuso da vent’anni, dormiva. Dalle finestre del Jolly guardavamo la facciata di quel luogo creato dai cittadini del passato e ci parve solo. Avuto nel marzo 1994 il permesso di entrare, trovammo il testone abbandonato della statua di Farini, la cacca dei piccioni, il sipario cadente, la platea in macerie, il tetto sventrato, ce ne siamo innamorati e abbiamo organizzato la Falsa riapertura numero zero, con le diapositive del dipinto del sipario sulla facciata e dentro la musica del Rigoletto, l’opera che inaugurò il teatro nel 1887. Alla finestra i manichini con maschere e costume spiavano fuori. Cominciò così il nostro cammino verso la riapertura: scritti, libri, interviste, eventi nel teatro distrutto, le False riaperture durante la sagra settembrina detta Fira di Sett Dulur, L’erba anadrena, La città in teatro, Mattoni, Azioni clandestine, Le Belle Bandiere per il teatro, I sensi del teatro e poi funerali, processioni, tamburi, stendardi, spettacoli in ogni angolo del paese. Si risvegliò nei cittadini la nostalgia, la memoria degli spettacoli, dei veglioni, per chi c’era stato, e il desiderio, per chi non ne conosceva l’esistenza, di un luogo che fosse espressione della cultura di una terra, finestra spalancata sul mondo, tempio laico della comunità e casa delle storie di tutti. Fu un’onda di entusiasmo che travolse gli ostacoli, annullò le fatiche, vinse le paure. L’orefice, che era anche un mago illusionista di nome Mirikoff, raccontava di come, piangendo, si fosse portato a casa in cariola i pezzi del soffitto affrescato buttato giù nel corso di un tentativo fallito di recupero. Accompagnammo quindi con cura anche il percorso di progettazione e ristrutturazione: avevamo visto troppi teatri sbagliati nella nostra Italia!
Partirono in volo tutti insieme ragazze e ragazzi, uomini, donne, bambini, cittadini, gli assessori, il sindaco, gli impiegati comunali, il fabbro, i metalmeccanici, i contadini, gli insegnanti, i fotografi, la parrocchia, i partiti, le banche con i buoni ordinari comunali per il teatro, le associazioni, la Pro Loco e tanti altri. E dopo molte ferite, fatiche, gioie, regali, sorprese, il teatro riaprì e gli abbonamenti furono venduti tutti in un lampo alle prime luci del mattino. A primi spettacoli della compagnia, nel teatro strapieno e luccicante, furono lanciati sul palco petali di rose: Terramatermatrigna, per gli attori del laboratorio, Non sentire il male, per Eleonora Duse, che ancora vive, Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello, che ha viaggiato per anni.
Da allora il Teatro ha ospitato prove e debutti di molti spettacoli a noi cari, realizzati in collaborazione con teatri di tutta Italia, con straordinari artisti che ne ricordano il nome con affetto ed emozione. Poi sono arrivati i premi ETI-Olimpici per il teatro, Viviani, UBU, Duse, Hystrio Altre Muse e ANCT, che si affiancano ai premi assegnati dal Comune di Russi e dalle sue associazioni, Città di Russi e Artoran a Ross. Il teatro è diventato un punto di riferimento per l’alta formazione di attori e tecnici. I ricordi belli nascosti nelle sue sale, le ombre che abitano il palco, il calore del suo pubblico, il sostegno della cittàcontinuano a portarci fortuna, a darci coraggio, a spingerci a indagare le emozioni più autentiche.
Tutti noi che abbiamo partecipato all’impresa non siamo più ragazzi, come tutti coloro che ci hanno sostenuto e seguito, ma quando insieme pensiamo al teatro pieno, vivo, dove molti amici sono passati, dove resiste il pubblico di allora e ne arriva sempre di nuovo, siamo di nuovo là, in quei giorni di speranza, fiducia e creazione dei quali andiamo fieri. Lo raccontiamo perché chiunque abbia un sogno sappia che si può avverare. Senza quel movimento di tutti, innescato da un gruppo di ragazzi, il Teatro forse non ci sarebbe.
Crediamo sempre più che il teatro sia catarsi, trasformazione del dolore, condivisione dei misteri dell’esistenza, motore di gioia, riflessione emotiva che ci rende liberi di essere diversi e capaci di sentirci simili, solidali e aperti al cambiamento. La forza delle radici fa allungare i rami verso l’alto.
Il teatro del cuore
di Marco Sgrosso
La prima volta che sono entrato nel Teatro Comunale di Russi – sventrato, abbandonato, umiliato – ho avuto un tuffo al cuore. Ricordo ancora perfettamente quella sensazione, forte come un pugno nello stomaco, un vuoto pneumatico, un risucchio nella meraviglia dello stupore.
Emozione molto simile a quella che avevo provato il giorno che assieme a mia sorella, fanciulli furtivi, entrammo di nascosto dagli zii, forzando un vecchio lucchetto arrugginito, nella cantina del palazzo chiuso e fatiscente dove nostra nonna aveva trascorso la sua infanzia non molto felice, adiacente alla strana casa che le era rimasta, un po’ tortuosa e assai più modesta ma da noi amatissima per le lunghe estati al mare nel calore limpido e rovente della Calabria.
Come allora, bambino, restai con il cuore sospeso ad osservare la bellezza perversa dello sfacelo del tempo tra cumuli di paglia, frantumi di alambicchi che in un silenzio irreale raccontavano del prozio farmacista, masserizie accatastate nella polvere che regnava sovrana in quello spazio perduto galleggiando fluttuante nell’aria e offuscando la limpidezza dei raggi del sole che violentavano le fessure; così – molti anni dopo – avvertii di nuovo quel balzo, come se il cuore si fosse in un attimo staccato dai suoi cardini per palpitare in libertà nella percezione assoluta del peso del Tempo. E simile fu la sensazione inebriante di una conquista proibita e necessaria, che oggi potrei riassumere con la consapevolezza di un desiderio e di una volontà: restituire alla memoria del passato dignità e valore, riconoscere la potenza ferma e placida delle radici.
In oltre trent’anni di mestiere costruito nei teatri di quasi tutta l’Italia, senza escludere preziose incursioni in alcuni teatri d’Europa, ancora oggi il teatro del mio cuore è quello di Russi, che non è il più bello né il più armonioso o il più accogliente, non è quello che ha visto le mie prove migliori o nel quale sono stato sempre felice, che accanto a impagabili gioie mi ha regalato anche faticose amarezze, ma è comunque “lui”: il teatro ri-scoperto e riportato in vita, il teatro della condivisione – con Elena e con quella meravigliosa e mutabile famiglia allargata chiamata Le belle bandiere - di passioni, ideali, speranze, progetti, battaglie, paure, incazzature, delusioni e..., sempre, grandi emozioni.
Lo percorro, ora, in occasione delle prove o delle repliche dei nostri spettacoli, ogni anno, rinnovato e restituito alla sua nobile funzione di assemblea cittadina, conosco i suoi spazi, quelli più evidenti e quelli più nascosti, ritrovo i miei angoli preferiti e mi lascio cullare dalla dolcezza del sipario e delle poltrone color carta da zucchero, ma non posso dimenticare il vortice emotivo di vent’anni fa: il vecchio sipario blu appesantito di una polvere antica che pendeva obliquo sul palcoscenico inondato di penne e di cacca di piccioni e sferzato dai raggi del sole che lo attraversavano, la platea sventrata piena di terra arida e secca con le splendide poltrone in ferro battuto di velluto rosso accatastate una sull’altra, il cotto logorato del foyer che, assieme a Giovanna, inginocchiati per ore, nutrivamo di olio che lasciava riaffiorare un’ombra del rosso antico. Avere lottato per la sua rinascita assieme a tanti compagni appassionati e disinteressati come me è come avere rimesso al suo posto un tassello di vita di un passato comune perché aiuti a comprendere il senso e la direzione del futuro. Al valore imperdibile di ciò che è trascorso non si torna soltanto per il gusto pur nobilissimo dell’archeologia, ma per una costruzione corretta e consapevole del nostro domani.
di Marco Sgrosso
La prima volta che sono entrato nel Teatro Comunale di Russi – sventrato, abbandonato, umiliato – ho avuto un tuffo al cuore. Ricordo ancora perfettamente quella sensazione, forte come un pugno nello stomaco, un vuoto pneumatico, un risucchio nella meraviglia dello stupore.
Emozione molto simile a quella che avevo provato il giorno che assieme a mia sorella, fanciulli furtivi, entrammo di nascosto dagli zii, forzando un vecchio lucchetto arrugginito, nella cantina del palazzo chiuso e fatiscente dove nostra nonna aveva trascorso la sua infanzia non molto felice, adiacente alla strana casa che le era rimasta, un po’ tortuosa e assai più modesta ma da noi amatissima per le lunghe estati al mare nel calore limpido e rovente della Calabria.
Come allora, bambino, restai con il cuore sospeso ad osservare la bellezza perversa dello sfacelo del tempo tra cumuli di paglia, frantumi di alambicchi che in un silenzio irreale raccontavano del prozio farmacista, masserizie accatastate nella polvere che regnava sovrana in quello spazio perduto galleggiando fluttuante nell’aria e offuscando la limpidezza dei raggi del sole che violentavano le fessure; così – molti anni dopo – avvertii di nuovo quel balzo, come se il cuore si fosse in un attimo staccato dai suoi cardini per palpitare in libertà nella percezione assoluta del peso del Tempo. E simile fu la sensazione inebriante di una conquista proibita e necessaria, che oggi potrei riassumere con la consapevolezza di un desiderio e di una volontà: restituire alla memoria del passato dignità e valore, riconoscere la potenza ferma e placida delle radici.
In oltre trent’anni di mestiere costruito nei teatri di quasi tutta l’Italia, senza escludere preziose incursioni in alcuni teatri d’Europa, ancora oggi il teatro del mio cuore è quello di Russi, che non è il più bello né il più armonioso o il più accogliente, non è quello che ha visto le mie prove migliori o nel quale sono stato sempre felice, che accanto a impagabili gioie mi ha regalato anche faticose amarezze, ma è comunque “lui”: il teatro ri-scoperto e riportato in vita, il teatro della condivisione – con Elena e con quella meravigliosa e mutabile famiglia allargata chiamata Le belle bandiere - di passioni, ideali, speranze, progetti, battaglie, paure, incazzature, delusioni e..., sempre, grandi emozioni.
Lo percorro, ora, in occasione delle prove o delle repliche dei nostri spettacoli, ogni anno, rinnovato e restituito alla sua nobile funzione di assemblea cittadina, conosco i suoi spazi, quelli più evidenti e quelli più nascosti, ritrovo i miei angoli preferiti e mi lascio cullare dalla dolcezza del sipario e delle poltrone color carta da zucchero, ma non posso dimenticare il vortice emotivo di vent’anni fa: il vecchio sipario blu appesantito di una polvere antica che pendeva obliquo sul palcoscenico inondato di penne e di cacca di piccioni e sferzato dai raggi del sole che lo attraversavano, la platea sventrata piena di terra arida e secca con le splendide poltrone in ferro battuto di velluto rosso accatastate una sull’altra, il cotto logorato del foyer che, assieme a Giovanna, inginocchiati per ore, nutrivamo di olio che lasciava riaffiorare un’ombra del rosso antico. Avere lottato per la sua rinascita assieme a tanti compagni appassionati e disinteressati come me è come avere rimesso al suo posto un tassello di vita di un passato comune perché aiuti a comprendere il senso e la direzione del futuro. Al valore imperdibile di ciò che è trascorso non si torna soltanto per il gusto pur nobilissimo dell’archeologia, ma per una costruzione corretta e consapevole del nostro domani.
Ricordo su gentile richiesta
di Andrea de Luca
Quando entrammo nel Teatro Comunale di Russi, grande fu il disappunto dei piccioni che lì erano, indisturbati, credo da un paio di decenni. Nell’atrio, in una coltre di polvere, giacevano scatoloni con globi di vetro per lampade, un’enorme testa baffuta scolpita, non ricordo quali e quante altre rovine, il bancone del guardaroba, un grande specchio a muro, il buio, l’odore di chiuso, muffa, oblìo. Pericoli, anche, pezzi in bilico di stuccatura del cannicciato delle volte, buchi nei pavimenti dei palchi, la platea sventrata, blocchi di sedie ammassati, tavole, materiali sparsi ovunque. La visione del palco, insieme orribile e magnifica: era illuminato dal riflesso di un intenso raggio di sole cadente sul sipario ammassato a terra e ammantato di guano. Un cielo o schermo bianco, per metà pendente in un drappeggio plastico, era appeso al centro, con l’aria di poter cadere ad una semplice voce. Quanto spazio, quanta severità. Le emozioni apparivano, ma come sospese nell’incredulità dello sguardo di fronte alla devastazione, alle piume volanti, alla polvere come neve, all’autorità del luogo nella curva degli ordini dei palchi, ora ciechi e neri, nei manifesti ancora attaccati a fondo palco, un vecchio quadro elettrico, memorie prepotenti di voci, rumori, il suono in testa delle parole attrice, tenore, soprano, botteghino.
La prima volta, nel marzo del 1994, per “De Natura Hominum”, ponemmo dei manichini vestiti “da Rigoletto” al piano superiore, illuminandoli in modo che dalla strada potessero essere visti, il teatro era chiuso, ma internamente illuminato e “abitato”, mentre dal Cinema Teatro Jolly, di fronte, il disco di un Rigoletto d’annata della Scala di Milano, amplificato, inondava la pubblica via e sul suo palco di cemento si alternavano numerosi spettacoli del Laboratorio. Altrove e meglio Elena e Marco descrivono il senso e le modalità di questa iniziativa. Posso solo ricordare la mia sensazione, allora, di essere parte di un gesto forte, che chiudeva il cerchio – aprendone altri – del percorso intrapreso con gli spettacoli della Compagnia e le prime attività del Laboratorio. Un gesto, non so quanto intenzionalmente, ma certo irresistibilmente politico e creativo, che ricordava a noi e ai cittadini la possibilità di emozionarsi insieme, patire e gioire insieme, ricordare la presenza di un importante teatro nel cuore della città e far nascere o rinascere il desiderio che esso tornasse a vivere. Si sentiva forte la condivisione del pensiero di quanto fosse assurdo l’abbandono di un luogo simile, uno strappo nel tessuto di una comunità. Qualcosa da sanare. Qualcosa a cui non assuefarsi, non più.
La seconda volta, nel settembre dello stesso anno, con “L’erba anadrèna”, l’intervento nel teatro fu spavaldo, l’atrio ripulito, allestito con foto di spettacoli, attori del Laboratorio mischiati a quelli della Compagnia che improvvisavano durante l’apertura: i cittadini rimettevano piede nel teatro e potevano anche volgere lo sguardo verso la platea e il palco in rovina.
Da qui in poi, io non non sono stato presente alle altre iniziative che Le Belle Bandiere hanno messo in opera nel Teatro Comunale e che hanno portato alla maturazione nella cittadinanza di un rinnovato bisogno del restauro e della rimessa in funzione e quindi alla decisione istituzionale di rendere concreta questa prospettiva.
Il Teatro Comunale attuale, in cui ho avuto il profondo piacere di provare e recitare, negli anni successivi, con Le Belle Bandiere, mi provoca sempre una sensazione di gioia e di stupore, soprattutto quando apro la porta di legno un po’ laterale e dentro è tutto nuovo e pulito, ma è sempre quello con gli scatoloni e la polvere, mischiandosi queste immagini, queste percezioni anche tattili, olfattive, con quelle di anni fa, in un essere qui e lì che scombussola e fa sentire presenza e assenza, le voci di ieri nostre e quelle mai sentite, quelle dell’oggi, il fare, il silenzio e il buio degli spazi, le luci accese, le persone che arrivano, il calore, gli applausi, la notte fredda.
di Andrea de Luca
Quando entrammo nel Teatro Comunale di Russi, grande fu il disappunto dei piccioni che lì erano, indisturbati, credo da un paio di decenni. Nell’atrio, in una coltre di polvere, giacevano scatoloni con globi di vetro per lampade, un’enorme testa baffuta scolpita, non ricordo quali e quante altre rovine, il bancone del guardaroba, un grande specchio a muro, il buio, l’odore di chiuso, muffa, oblìo. Pericoli, anche, pezzi in bilico di stuccatura del cannicciato delle volte, buchi nei pavimenti dei palchi, la platea sventrata, blocchi di sedie ammassati, tavole, materiali sparsi ovunque. La visione del palco, insieme orribile e magnifica: era illuminato dal riflesso di un intenso raggio di sole cadente sul sipario ammassato a terra e ammantato di guano. Un cielo o schermo bianco, per metà pendente in un drappeggio plastico, era appeso al centro, con l’aria di poter cadere ad una semplice voce. Quanto spazio, quanta severità. Le emozioni apparivano, ma come sospese nell’incredulità dello sguardo di fronte alla devastazione, alle piume volanti, alla polvere come neve, all’autorità del luogo nella curva degli ordini dei palchi, ora ciechi e neri, nei manifesti ancora attaccati a fondo palco, un vecchio quadro elettrico, memorie prepotenti di voci, rumori, il suono in testa delle parole attrice, tenore, soprano, botteghino.
La prima volta, nel marzo del 1994, per “De Natura Hominum”, ponemmo dei manichini vestiti “da Rigoletto” al piano superiore, illuminandoli in modo che dalla strada potessero essere visti, il teatro era chiuso, ma internamente illuminato e “abitato”, mentre dal Cinema Teatro Jolly, di fronte, il disco di un Rigoletto d’annata della Scala di Milano, amplificato, inondava la pubblica via e sul suo palco di cemento si alternavano numerosi spettacoli del Laboratorio. Altrove e meglio Elena e Marco descrivono il senso e le modalità di questa iniziativa. Posso solo ricordare la mia sensazione, allora, di essere parte di un gesto forte, che chiudeva il cerchio – aprendone altri – del percorso intrapreso con gli spettacoli della Compagnia e le prime attività del Laboratorio. Un gesto, non so quanto intenzionalmente, ma certo irresistibilmente politico e creativo, che ricordava a noi e ai cittadini la possibilità di emozionarsi insieme, patire e gioire insieme, ricordare la presenza di un importante teatro nel cuore della città e far nascere o rinascere il desiderio che esso tornasse a vivere. Si sentiva forte la condivisione del pensiero di quanto fosse assurdo l’abbandono di un luogo simile, uno strappo nel tessuto di una comunità. Qualcosa da sanare. Qualcosa a cui non assuefarsi, non più.
La seconda volta, nel settembre dello stesso anno, con “L’erba anadrèna”, l’intervento nel teatro fu spavaldo, l’atrio ripulito, allestito con foto di spettacoli, attori del Laboratorio mischiati a quelli della Compagnia che improvvisavano durante l’apertura: i cittadini rimettevano piede nel teatro e potevano anche volgere lo sguardo verso la platea e il palco in rovina.
Da qui in poi, io non non sono stato presente alle altre iniziative che Le Belle Bandiere hanno messo in opera nel Teatro Comunale e che hanno portato alla maturazione nella cittadinanza di un rinnovato bisogno del restauro e della rimessa in funzione e quindi alla decisione istituzionale di rendere concreta questa prospettiva.
Il Teatro Comunale attuale, in cui ho avuto il profondo piacere di provare e recitare, negli anni successivi, con Le Belle Bandiere, mi provoca sempre una sensazione di gioia e di stupore, soprattutto quando apro la porta di legno un po’ laterale e dentro è tutto nuovo e pulito, ma è sempre quello con gli scatoloni e la polvere, mischiandosi queste immagini, queste percezioni anche tattili, olfattive, con quelle di anni fa, in un essere qui e lì che scombussola e fa sentire presenza e assenza, le voci di ieri nostre e quelle mai sentite, quelle dell’oggi, il fare, il silenzio e il buio degli spazi, le luci accese, le persone che arrivano, il calore, gli applausi, la notte fredda.
I luoghi ritrovati n. 1 - Teatro Comunale di Russi
Breve storia degli interventi delle Belle Bandiere in favore della ristrutturazione del teatro
di Elena Bucci
Riprendere in mano le locandine, gli articoli dei giornali, le lettere, i fax legati a tutte le iniziative realizzate per promuovere questa ristrutturazione ormai conclusa, dà una vertigine, un piacere e una malinconia, come guardare vecchie foto. Le immagini, ancora vivide, la memoria delle emozioni, ancora fresca, l’essenza delle persone, che si sono viste cambiare nel tempo, si accalcano per imporsi e dire la loro.
Ma come si può raccontare la storia di un sogno la cui struttura vitale è fatta di particolari, di inezie che possono rendere un evento memorabile o triviale, di un sentire tanto intenso da diventare banale se espresso a parole?
Comunque vada ci provo, insisto nel collegare tanto vissuto alle date, agli eventi. Comunque vada la nuova vita di questo Teatro, ci sentiamo privilegiati nell’aver partecipato alla storia della sua rinascita, per tutto quello che abbiamo dato e dando, avuto.
di Elena Bucci
Riprendere in mano le locandine, gli articoli dei giornali, le lettere, i fax legati a tutte le iniziative realizzate per promuovere questa ristrutturazione ormai conclusa, dà una vertigine, un piacere e una malinconia, come guardare vecchie foto. Le immagini, ancora vivide, la memoria delle emozioni, ancora fresca, l’essenza delle persone, che si sono viste cambiare nel tempo, si accalcano per imporsi e dire la loro.
Ma come si può raccontare la storia di un sogno la cui struttura vitale è fatta di particolari, di inezie che possono rendere un evento memorabile o triviale, di un sentire tanto intenso da diventare banale se espresso a parole?
Comunque vada ci provo, insisto nel collegare tanto vissuto alle date, agli eventi. Comunque vada la nuova vita di questo Teatro, ci sentiamo privilegiati nell’aver partecipato alla storia della sua rinascita, per tutto quello che abbiamo dato e dando, avuto.
25-27 marzo 1994
In occasione di DE NATURA HOMINUM, rassegna di progetti autonomi degli attori del Laboratorio permanente, realizzata al Teatro Jolly di Russi, incombe su di noi la facciata del Teatro Comunale, chiusa e sbarrata da vent’anni. Ci sembra triste che quel teatro, una volta tanto vivo, debba stare muto a guardare il teatro che rinasce, come forza viva e desiderio, proprio di fronte a lui. Il permesso è tempestivamente richiesto all’Assessore alla cultura, con entusiasmo concesso da lui e dal Sindaco Daniele Bolognesi, e possiamo entrare per la prima volta, da quando eravamo bambini, nel teatro ormai casa dei piccioni. Pensiamo a Rigoletto, opera con la quale venne inaugurato. Comincia la folle ricerca dei manichini, gentilmente concessi dai commercianti di Russi. I ‘Mimi della lirica’ - abbiamo con noi due dei loro più validi esponenti - ci prestano i costumi, costruiamo teste finte e maschere e il gioco è fatto. Dalle finestre illuminate si affacciano i fantasmi dei cantanti del lontano 1887, avvolti dalla musica di Rigoletto. Con tre proiettori, sistemati nel Teatro Jolly, coloriamo la facciata con le diapositive del quadro, caro alla memoria dei cittadini, che raffigura l’antico sipario di Gordini, semiaperto sul futuro.
In occasione di DE NATURA HOMINUM, rassegna di progetti autonomi degli attori del Laboratorio permanente, realizzata al Teatro Jolly di Russi, incombe su di noi la facciata del Teatro Comunale, chiusa e sbarrata da vent’anni. Ci sembra triste che quel teatro, una volta tanto vivo, debba stare muto a guardare il teatro che rinasce, come forza viva e desiderio, proprio di fronte a lui. Il permesso è tempestivamente richiesto all’Assessore alla cultura, con entusiasmo concesso da lui e dal Sindaco Daniele Bolognesi, e possiamo entrare per la prima volta, da quando eravamo bambini, nel teatro ormai casa dei piccioni. Pensiamo a Rigoletto, opera con la quale venne inaugurato. Comincia la folle ricerca dei manichini, gentilmente concessi dai commercianti di Russi. I ‘Mimi della lirica’ - abbiamo con noi due dei loro più validi esponenti - ci prestano i costumi, costruiamo teste finte e maschere e il gioco è fatto. Dalle finestre illuminate si affacciano i fantasmi dei cantanti del lontano 1887, avvolti dalla musica di Rigoletto. Con tre proiettori, sistemati nel Teatro Jolly, coloriamo la facciata con le diapositive del quadro, caro alla memoria dei cittadini, che raffigura l’antico sipario di Gordini, semiaperto sul futuro.
Difficile descrivere la nostra emozione e la sorpresa dei cittadini.
Una per tutti: un ignoto signore in bicicletta che, dopo essere passato davanti al teatro due o tre volte, dopo essersi fermato stranito a guardare ed ascoltare, se ne è andato verso la piazza gridando: «I ha avert e teatar! I ha avert e teatar!».
Comincia la raccolta di firme in favore della ristrutturazione del Teatro.
Firma anche il sindaco Bolognesi e dice «Abbiamo degli obiettivi che prevedono nel 1994 un incarico professionale finalizzato ad una redazione progettuale e ad un conseguente piano finanziario che ci possa descrivere gli oneri per il recupero funzionale della struttura…»
14-19 settembre 1994
L’ERBA ANADRENA - muschio spontaneo dei tetti e degli argini
percorso per immagini ed eventi teatrali
Una per tutti: un ignoto signore in bicicletta che, dopo essere passato davanti al teatro due o tre volte, dopo essersi fermato stranito a guardare ed ascoltare, se ne è andato verso la piazza gridando: «I ha avert e teatar! I ha avert e teatar!».
Comincia la raccolta di firme in favore della ristrutturazione del Teatro.
Firma anche il sindaco Bolognesi e dice «Abbiamo degli obiettivi che prevedono nel 1994 un incarico professionale finalizzato ad una redazione progettuale e ad un conseguente piano finanziario che ci possa descrivere gli oneri per il recupero funzionale della struttura…»
14-19 settembre 1994
L’ERBA ANADRENA - muschio spontaneo dei tetti e degli argini
percorso per immagini ed eventi teatrali
La visione del teatro abbandonato è diventata l’immagine del nostro fare teatrale qui, a Russi: risvegliare qualcosa che dormiva, incoraggiare la gente a tornare protagonista della sua cultura.
In occasione della grande festa popolare che è la ‘Fira’ vogliamo riaprire il Teatro, far ricordare ai cittadini che è esistito, farglielo rivedere o vedere per la prima volta. Abbiamo lavorato come facchini, elettricisti, spazzini, registi, attori perché questo fosse possibile. Tra la polvere e la cacca dei piccioni, abbiamo recuperato poveri oggetti di nessun valore, abbiamo visto rinascere la forma dell’atrio e del vecchio bar, abbiamo lavato il vecchio sipario blu. Siamo stati ripagati da uno spettacolo lungo una settimana, dalla commozione e dallo stupore della gente, dallo sguardo incantato di chi varcava la soglia. Quel tempo magico diventa anche il tempo della riflessione sul lavoro passato e su quello futuro, un modo per informarne la comunità.
Abbiamo già realizzato rassegne, laboratori e quattro spettacoli con gli attori del Laboratorio teatrale permanente, tra i quali il “Progetto San Giacomo. Le finestre dei giorni”, che, nell’intento di far rivivere un luogo della memoria del territorio, ha scosso l’immaginario del pubblico che si è spinto numerosissimo fino al Palazzo, portandosi le sedie, pur di poter entrare.
Ci rendiamo conto di essere, senza averlo voluto, ‘teatro d’assalto’: abitiamo i luoghi e cerchiamo di renderli teatro, senz’acqua, senza luce, con fatica, come nomadi inquieti e solidali. Questo lavoro ha creato un gruppo e genera entusiasmo.
Facciamo dell’assenza del Teatro una ricchezza creativa, ma non vogliamo dimenticare che sarà necessario un luogo dove l’esperienza non si disperda e resti patrimonio per chi verrà dopo di noi.
Così il teatro si anima di personaggi, luci, suoni, foto, macchine, proiezioni sul palcoscenico fatiscente.
E ci accorgiamo che il nostro gusto per la sfida e i sogni ci ha lanciato in un’avventura di cui ancora non conosciamo rischi e speranze: il progetto del recupero del Teatro Comunale alla sua città
In occasione della grande festa popolare che è la ‘Fira’ vogliamo riaprire il Teatro, far ricordare ai cittadini che è esistito, farglielo rivedere o vedere per la prima volta. Abbiamo lavorato come facchini, elettricisti, spazzini, registi, attori perché questo fosse possibile. Tra la polvere e la cacca dei piccioni, abbiamo recuperato poveri oggetti di nessun valore, abbiamo visto rinascere la forma dell’atrio e del vecchio bar, abbiamo lavato il vecchio sipario blu. Siamo stati ripagati da uno spettacolo lungo una settimana, dalla commozione e dallo stupore della gente, dallo sguardo incantato di chi varcava la soglia. Quel tempo magico diventa anche il tempo della riflessione sul lavoro passato e su quello futuro, un modo per informarne la comunità.
Abbiamo già realizzato rassegne, laboratori e quattro spettacoli con gli attori del Laboratorio teatrale permanente, tra i quali il “Progetto San Giacomo. Le finestre dei giorni”, che, nell’intento di far rivivere un luogo della memoria del territorio, ha scosso l’immaginario del pubblico che si è spinto numerosissimo fino al Palazzo, portandosi le sedie, pur di poter entrare.
Ci rendiamo conto di essere, senza averlo voluto, ‘teatro d’assalto’: abitiamo i luoghi e cerchiamo di renderli teatro, senz’acqua, senza luce, con fatica, come nomadi inquieti e solidali. Questo lavoro ha creato un gruppo e genera entusiasmo.
Facciamo dell’assenza del Teatro una ricchezza creativa, ma non vogliamo dimenticare che sarà necessario un luogo dove l’esperienza non si disperda e resti patrimonio per chi verrà dopo di noi.
Così il teatro si anima di personaggi, luci, suoni, foto, macchine, proiezioni sul palcoscenico fatiscente.
E ci accorgiamo che il nostro gusto per la sfida e i sogni ci ha lanciato in un’avventura di cui ancora non conosciamo rischi e speranze: il progetto del recupero del Teatro Comunale alla sua città
23 gennaio 1995
Sala Convegni del Centro Culturale Polivalente
I CITTADINI PER IL TEATRO COMUNALE DI RUSSI
ricordi e... futuro?
Moltissimi cittadini sono presenti a questa serata, promossa con forza dall’Amministrazione Comunale. L’emozione di settembre pare ancora viva e non fagocitata dal vivere quotidiano, dall’abitudine alla disillusione. Si lanciano molte idee, tra le quali la creazione di un Comitato per il teatro. Si ricordano le molte firme raccolte. Nonostante le polemiche, e gli eterni dubbi sull’utilità di un teatro, sulle sue difficoltà di gestione, la volontà e l’ambizione è quella di riportare in vita il Teatro Comunale. Il sogno si fa progetto concreto.
Le Belle Bandiere fanno il loro lavoro: letture, canti, azioni teatrali. E lanciano un appello alla città. Per un progetto così ardito, bisogna in qualche modo farsi coraggio, se le parole non bastano. Bisogna ricordarsi forse che abbiamo la necessità di cose che il nostro modo di vivere spesso ignora, il cui prezzo, anche se alto, diventa leggero, se solo si pensa al bene profondo che lasciano.
Sala Convegni del Centro Culturale Polivalente
I CITTADINI PER IL TEATRO COMUNALE DI RUSSI
ricordi e... futuro?
Moltissimi cittadini sono presenti a questa serata, promossa con forza dall’Amministrazione Comunale. L’emozione di settembre pare ancora viva e non fagocitata dal vivere quotidiano, dall’abitudine alla disillusione. Si lanciano molte idee, tra le quali la creazione di un Comitato per il teatro. Si ricordano le molte firme raccolte. Nonostante le polemiche, e gli eterni dubbi sull’utilità di un teatro, sulle sue difficoltà di gestione, la volontà e l’ambizione è quella di riportare in vita il Teatro Comunale. Il sogno si fa progetto concreto.
Le Belle Bandiere fanno il loro lavoro: letture, canti, azioni teatrali. E lanciano un appello alla città. Per un progetto così ardito, bisogna in qualche modo farsi coraggio, se le parole non bastano. Bisogna ricordarsi forse che abbiamo la necessità di cose che il nostro modo di vivere spesso ignora, il cui prezzo, anche se alto, diventa leggero, se solo si pensa al bene profondo che lasciano.
Torniamo nel Teatro Comunale per la Fira di Sett Dulur. Vorremmo dare seguito e respiro all’entusiasmo dimostrato dai cittadini per il loro teatro, con la raccolta di firme, l’appello, i racconti, i ricordi e le speranze per il futuro. Useremo il Teatro come casa di un percorso per immagini e come Teatro vivo, luogo dove si accumulano ricordi e visioni degli spettacoli fatti, immaginati, visti, sognati o da inventare... sperando nel Teatro che verrà...
L’allestimento è completamente diverso. Rimangono le due linee principali, la riflessione e presentazione del nostro lavoro ed il recupero del Teatro, ma la consapevolezza degli intenti è più chiara e concreta. Sarà esposto il progetto per un’ipotesi di ristrutturazione a cura dello studio ARC-LAB di Ravenna.
Nascono nuovi personaggi che animano il palco e la platea, spuntano dai corridoi, guidano la gente alla visione, viene allestita una sala proiezioni, sono messi in mostra oggetti bislacchi. Realizziamo un piccolo libro. Più di trenta persone lavorano ogni sera ad allestire questa grande macchina teatrale. ‘Da fuori’ cominciano ad accorgersi di noi.
13-15 settembre 1996
MATTONI
requiem per la nascita di un teatro
L’allestimento è completamente diverso. Rimangono le due linee principali, la riflessione e presentazione del nostro lavoro ed il recupero del Teatro, ma la consapevolezza degli intenti è più chiara e concreta. Sarà esposto il progetto per un’ipotesi di ristrutturazione a cura dello studio ARC-LAB di Ravenna.
Nascono nuovi personaggi che animano il palco e la platea, spuntano dai corridoi, guidano la gente alla visione, viene allestita una sala proiezioni, sono messi in mostra oggetti bislacchi. Realizziamo un piccolo libro. Più di trenta persone lavorano ogni sera ad allestire questa grande macchina teatrale. ‘Da fuori’ cominciano ad accorgersi di noi.
13-15 settembre 1996
MATTONI
requiem per la nascita di un teatro
Intorno al problema della ristrutturazione e recupero del Teatro Comunale la discussione si fa vivace e si accendono le polemiche. Ci si preoccupa della spesa, della futura gestione, ci si domanda ancora che utilità possa avere il Teatro, mentre i sostenitori denunciano la mancanza di un luogo dove ritrovino casa la cultura e l’arte, secondo le originali caratteristiche di questa terra, contro il pericolo dell’appiattimento e dell’omologazione.
Noi, che non siamo politici, pensiamo di tacere e di mettere i cittadini di fronte al possibile funerale del loro teatro, proprio nel cuore della festa. Il nostro intento è di svegliare le domande. Qui, in Romagna, siamo proprio così poveri, di spirito e danaro, da non poterci permettere quello che in passato era giudicato un bene irrinunciabile?
Chiediamo simbolici ‘mattoni’ a tutta Italia. E i mattoni arrivano, tanti, belli, importanti, da artisti, studiosi e cittadini, con offerte di aiuto e sostegno.
Li mettiamo in mostra in Teatro, a lume di candela, con eventi teatrali incentrati su documenti storici ed emotivi che testimonino la forza e la necessità dell’arte.
Allo scoccare delle 23, chiudiamo fuori la gente a suon di tamburi e parte il funerale per le strade. Siamo in tanti, in maschera, minacciosi e scaramantici.
Il carro funebre porta una foto del teatro.
I giornali si interessano, ci seguono. La battaglia per la ristrutturazione si fa urgente.
L’Amministrazione Comunale conferma il suo impegno per la ristrutturazione.
Non avevamo nessun intento polemico, ma raggiungiamo lo scopo di risvegliare la discussione e l’interesse intorno al progetto.
Noi, che non siamo politici, pensiamo di tacere e di mettere i cittadini di fronte al possibile funerale del loro teatro, proprio nel cuore della festa. Il nostro intento è di svegliare le domande. Qui, in Romagna, siamo proprio così poveri, di spirito e danaro, da non poterci permettere quello che in passato era giudicato un bene irrinunciabile?
Chiediamo simbolici ‘mattoni’ a tutta Italia. E i mattoni arrivano, tanti, belli, importanti, da artisti, studiosi e cittadini, con offerte di aiuto e sostegno.
Li mettiamo in mostra in Teatro, a lume di candela, con eventi teatrali incentrati su documenti storici ed emotivi che testimonino la forza e la necessità dell’arte.
Allo scoccare delle 23, chiudiamo fuori la gente a suon di tamburi e parte il funerale per le strade. Siamo in tanti, in maschera, minacciosi e scaramantici.
Il carro funebre porta una foto del teatro.
I giornali si interessano, ci seguono. La battaglia per la ristrutturazione si fa urgente.
L’Amministrazione Comunale conferma il suo impegno per la ristrutturazione.
Non avevamo nessun intento polemico, ma raggiungiamo lo scopo di risvegliare la discussione e l’interesse intorno al progetto.
Fira di Sett Dulur 1997
LE BELLE BANDIERE PER IL TEATRO
azioni clandestine nella città
Non vogliamo essere insistenti, non vogliamo ripeterci. Sembra che l’inizio dei lavori sia vicino e non ci sembra giusto impossessarci di un’utopia che è di tutti i cittadini. Non abbiamo combattuto soltanto per avere un teatro per noi, ma soprattutto perché ne fosse chiara la necessità, così...
Quest’anno siamo fuori.
Abbiamo lavorato perché non ci si dimenticasse che un tempo Russi era così civile da riuscire a far vivere un teatro che popola i ricordi di molte persone e di cui i giovani ignoravano l’esistenza. Ci interessava che la gente si interrogasse, che rinascesse la voglia di creare cultura e divertimento nel luogo dove si vive, in completa autonomia e originalità, che esistesse il sogno di un luogo dove, in rispetto e libertà, si potessero esprimere pensieri e creazioni.
Forse tocca ai cittadini, adesso, decidere di entrarci.
Contribuire a farlo rinascere o affossarlo per sempre.
Abbiamo marciato per le strade con i tamburi, le maschere e gli stendardi, visitando i vari luoghi della Fira, animando la serata di discussione sul teatro, creando un momento finale andando in visita a “La Fira non è un animale feroce” all’Ex Macello. Il nostro quartier generale è la Torre dell’Orologio. Da lì partiamo a sorpresa, sfiorando il teatro che attende l’inizio dei lavori.
LE BELLE BANDIERE PER IL TEATRO
azioni clandestine nella città
Non vogliamo essere insistenti, non vogliamo ripeterci. Sembra che l’inizio dei lavori sia vicino e non ci sembra giusto impossessarci di un’utopia che è di tutti i cittadini. Non abbiamo combattuto soltanto per avere un teatro per noi, ma soprattutto perché ne fosse chiara la necessità, così...
Quest’anno siamo fuori.
Abbiamo lavorato perché non ci si dimenticasse che un tempo Russi era così civile da riuscire a far vivere un teatro che popola i ricordi di molte persone e di cui i giovani ignoravano l’esistenza. Ci interessava che la gente si interrogasse, che rinascesse la voglia di creare cultura e divertimento nel luogo dove si vive, in completa autonomia e originalità, che esistesse il sogno di un luogo dove, in rispetto e libertà, si potessero esprimere pensieri e creazioni.
Forse tocca ai cittadini, adesso, decidere di entrarci.
Contribuire a farlo rinascere o affossarlo per sempre.
Abbiamo marciato per le strade con i tamburi, le maschere e gli stendardi, visitando i vari luoghi della Fira, animando la serata di discussione sul teatro, creando un momento finale andando in visita a “La Fira non è un animale feroce” all’Ex Macello. Il nostro quartier generale è la Torre dell’Orologio. Da lì partiamo a sorpresa, sfiorando il teatro che attende l’inizio dei lavori.
Fira di Sett Dulur 1998
TEATRI E FIERE. ANIMALI E BANDIERE
memorie e presente di ambulanti, teatranti e girovaghi per la Fira di Sett Dulur
Il sogno si fa tangibile. I lavori sono cominciati. Su invito del Sindaco abbiamo incontrato più volte gli architetti, per mettere la nostra esperienza di lavoro al servizio del progetto. Comincia un’avventura nuova e difficile. Troppe volte ci è capitato di vedere, durante le tournée, teatri rovinati da una ristrutturazione inadatta, resi inservibili da incoerenti pretese artistiche o da oscure motivazioni economiche. Il lavoro sembra procedere onesto e rispettoso della struttura, compatibilmente con le difficoltà create dalle norme di sicurezza.
Per tenere caldi pensieri ed animi, immaginiamo un evento teatrale in occasione di un nuovo appuntamento in cui l’Amministrazione Comunale illustra ai cittadini l’andamento del progetto di ristrutturazione.
Si recuperano memorie, ricordi, contratti teatrali, suggestioni di saltimbanchi e attori di prosa, cantanti e ballerine, recuperati dai materiali dell’archivio storico e da varie letture, e si innestano nel presente... ci si diverte a mescolare passato e futuro, politica e arte. Si sorride. Il Teatro è vicino.
Fira di Sett Dulur 2000
SENSI DEL TEATRO
viaggio teatrale in sette minuti per tre spettatori
Come ogni anno, Le Belle Bandiere aspettano e si preparano alla Fira, nel loro particolare modo che passa sempre attraverso l’arte teatrale.
Quest’anno la aspettiamo come si aspettano gli invitati ad una festa intima e raccolta, dove possono intervenire tutti, amici e sconosciuti, ai quali raccontare i fatti e le novità dell’ultimo anno.
In questo settembre 2000 per noi la novità è grossa: il Teatro Comunale è vivo!
Si guarda intorno e si sgranchisce, cercando il modo giusto di riprendere l’attività: IL TEATRO COMUNALE È VIVO.
TEATRI E FIERE. ANIMALI E BANDIERE
memorie e presente di ambulanti, teatranti e girovaghi per la Fira di Sett Dulur
Il sogno si fa tangibile. I lavori sono cominciati. Su invito del Sindaco abbiamo incontrato più volte gli architetti, per mettere la nostra esperienza di lavoro al servizio del progetto. Comincia un’avventura nuova e difficile. Troppe volte ci è capitato di vedere, durante le tournée, teatri rovinati da una ristrutturazione inadatta, resi inservibili da incoerenti pretese artistiche o da oscure motivazioni economiche. Il lavoro sembra procedere onesto e rispettoso della struttura, compatibilmente con le difficoltà create dalle norme di sicurezza.
Per tenere caldi pensieri ed animi, immaginiamo un evento teatrale in occasione di un nuovo appuntamento in cui l’Amministrazione Comunale illustra ai cittadini l’andamento del progetto di ristrutturazione.
Si recuperano memorie, ricordi, contratti teatrali, suggestioni di saltimbanchi e attori di prosa, cantanti e ballerine, recuperati dai materiali dell’archivio storico e da varie letture, e si innestano nel presente... ci si diverte a mescolare passato e futuro, politica e arte. Si sorride. Il Teatro è vicino.
Fira di Sett Dulur 2000
SENSI DEL TEATRO
viaggio teatrale in sette minuti per tre spettatori
Come ogni anno, Le Belle Bandiere aspettano e si preparano alla Fira, nel loro particolare modo che passa sempre attraverso l’arte teatrale.
Quest’anno la aspettiamo come si aspettano gli invitati ad una festa intima e raccolta, dove possono intervenire tutti, amici e sconosciuti, ai quali raccontare i fatti e le novità dell’ultimo anno.
In questo settembre 2000 per noi la novità è grossa: il Teatro Comunale è vivo!
Si guarda intorno e si sgranchisce, cercando il modo giusto di riprendere l’attività: IL TEATRO COMUNALE È VIVO.
Il lavoro di quest’anno, con il Teatro vivo che ci guarda, lo dedichiamo a un tempo raccolto di allegra malinconia per le lotte passate, ad un tempo in cui meditare per non sbagliare le intenzioni e i progetti sul futuro di questo Teatro nuovo, che vorremmo libero e diverso, come si augura ad ogni nuovo nato sulla Terra.
Di fronte alla grande impresa di fare vivere il Teatro, confermiamo la nostra presenza e chiediamo la partecipazione dei cittadini a quest’avventura che può diventare unica o banale.
Ci interroghiamo, ci prepariamo. C’è bisogno di idee e coraggio. C’è bisogno di sospendere il rumore e le chiacchiere per creare le condizioni della riflessione.
Da qui l’idea di questo viaggio intimo e leggero, come un riposo fertile che offra immagini e pensieri.
È difficile e accesa la discussione intorno alla futura gestione del Teatro. La memoria, si sa, è una ricchezza fragile la cui mancanza spesso appanna il senso di un percorso e degli ideali che hanno dato forza.
Ora che il Teatro è finito, temiamo che la difficoltà di farne un luogo unico e originale, faccia vincere la paura e lo trasformi in un luogo simile a tanti altri, in qualche modo asservito all’omologazione del gusto e della cultura.
Cambierebbe così in profondo tutto il senso della nostra lotta per un teatro che fosse specchio della sua terra e della sua gente e casa per ospitare l’arte.
[pubblicato in Russi: una città il suo teatro, a cura di Emilio Vita, Danilo Montanari Editore, 2001]
Ci interroghiamo, ci prepariamo. C’è bisogno di idee e coraggio. C’è bisogno di sospendere il rumore e le chiacchiere per creare le condizioni della riflessione.
Da qui l’idea di questo viaggio intimo e leggero, come un riposo fertile che offra immagini e pensieri.
È difficile e accesa la discussione intorno alla futura gestione del Teatro. La memoria, si sa, è una ricchezza fragile la cui mancanza spesso appanna il senso di un percorso e degli ideali che hanno dato forza.
Ora che il Teatro è finito, temiamo che la difficoltà di farne un luogo unico e originale, faccia vincere la paura e lo trasformi in un luogo simile a tanti altri, in qualche modo asservito all’omologazione del gusto e della cultura.
Cambierebbe così in profondo tutto il senso della nostra lotta per un teatro che fosse specchio della sua terra e della sua gente e casa per ospitare l’arte.
[pubblicato in Russi: una città il suo teatro, a cura di Emilio Vita, Danilo Montanari Editore, 2001]
13 ottobre 2002 - Teatro Comunale di Russi
TERRAMATERMATRIGNA
con Mauro Benedetti, Giordano Casadio, Licia Castellari, Pietro Corbari, Daniela Denti, Enrica Ghinassi, Roberto Gottarelli, Gianni Mazzesi, Giovanna Randi, Monica Ravaglia, Mirta Sintini, Franco Cecè Zoli
regia e drammaturgia Elena Bucci e Marco Sgrosso
TERRAMATERMATRIGNA
con Mauro Benedetti, Giordano Casadio, Licia Castellari, Pietro Corbari, Daniela Denti, Enrica Ghinassi, Roberto Gottarelli, Gianni Mazzesi, Giovanna Randi, Monica Ravaglia, Mirta Sintini, Franco Cecè Zoli
regia e drammaturgia Elena Bucci e Marco Sgrosso
foto Pier Franco Ravaglia
foto Pier Franco Ravaglia, Andrea de Luca, Paolo Maioli, Paride Contarini, Marco Sgrosso
(alcuni spettacoli della compagnia Le belle bandiere rappresentati al Teatro Comunale di Russi dopo la riapertura del 2001)