CINEMA TEATRO ITALIA
racconti di esperienze d'arte dal pianeta Italia
a cura di Elena Bucci
Un giorno Tonino ci ha mandato una pagina della sua autobiografia - “Vita mia” - dove parla anche di noi. Ci aveva accennato di questa sua impresa nella sua bella casa tana di Torino. Gli abbiamo chiesto di poterla pubblicare in questo luogo dedicato ai racconti della memoria e dove le autobiografie, veritiere o trasformate dall’immaginazione e dalla lente dei ricordi sovrapposti, hanno un posto particolare. Marco ed io, ad esempio, abbiamo lo stesso ricordo del primo incontro con Tonino, ma legato a spettacoli diversi. Controlleremo, la verità è una sola. Di certo sbaglio io, ne sono quasi sicura, eppure lasciamo l’errore, come esempio di quanto la memoria diventi creazione, invenzione, personale leggenda. Tonino di Marco Sgrosso Tonino De Bernardi è un piccolo uomo straordinario con molti volti, tutti teneramente uguali al suo. È un regista visionario, brulicante di presenze interiori che in un baleno si mutano in immagini intime e urgenti. È stato per molti anni un maestro scolastico, immagino difficilmente dimenticato dai suoi alunni. È un vecchio bambino o un fanciullo antico, per il quale il gioco e la fantasia sono respiro e linfa necessari. Ed è un amico prezioso, di quelli che anche se li rivedi ogni tanto a distanza di mesi o talvolta di anni, puoi riprendere il discorso dal punto dove eri rimasto con la stessa confidenza inappannata, la stessa limpida naturalezza. È un elfo incivilito nel cemento delle città - Roma, Torino, Parigi - che percorre, ama e trasforma in spigolosi scenari del suo stupefacente universo di favole spesso amare ma sempre tenere. Il nostro primo incontro accadde a Roma: entrata principale del Teatro Valle, domenica pomeriggio, dopo una replica del nostro “Berretto a sonagli”. Aspettava Elena all’uscita dallo spettacolo per filmarla e inserirla in uno dei tanti suoi film in cui una ricca umanità si scompone in tessere poetiche scollegate per poi ricomporsi in una bizzarra sinfonia dell’anima. C’era con lui Donatello Fumarola, collaboratore di Enrico Ghezzi per il "Fuori Orario” di RaiTre. Bevemmo qualcosa nel piccolo bar di fronte al teatro e, quando li salutai per lasciarli alle riprese, lui fulmineamente mi chiese se poteva riprendere anche me per il suo film. Titubai, incerto ma anche incuriosito: riprendere in che senso? che cosa avrei dovuto fare? Lui rispose che non aveva programmi ma soltanto il desiderio di filmare Elena e anche me se non avevo niente in contrario: avremmo improvvisato. E così fu. Cominciammo a girare senza sceneggiatura, intrufolandoci nelle strade meno frequentate del centro di Roma, sotto un arco, contro un portone, svoltando un angolo. Tonino chiese a Donatello di entrare ‘in campo’ e così ebbe inizio un surreale ‘plot’: due uomini e una donna, le vie della città più bella del mondo, un’ambigua relazione senza parole fatta di sguardi intensi o sfuggenti, rapide fughe e rallentamenti, intese indefinite, complicità scivolose. Il tempo scorreva senza tempo, l’entusiasmo di Tonino cresceva, il nostro divertimento pure. Terminammo di girare a sera inoltrata nella cabina telefonica rossa di una strada semideserta nei pressi di Porta Portese, in un clima vagamente inquietante, esausti ma elettrizzati. Da lì comincia la mia avventura nel cinema di Tonino, inglobato di tanto in tanto in sceneggiature inaspettate. Malamente imparruccato e senza trucco, nei panni della mia Ella teatrale di Achternbush, ma celando l’esile abitino bianco femminile sotto il mio cappotto di pelle per proteggermi dal gelido vento invernale che sferzava la spiaggia deserta di Barletta (“Lei”); oppure, ancora imparruccato ma nei sontuosi damaschi del Leonardo goldoniano del nostro “Le smanie della villeggiatura”, improvvisando assieme ad Elena sfarzosa Giacinta/Vittoria, proprio sul palcoscenico del Teatro Valle di Roma (“Accoltellati”); fino ad emergere con il volto impiastricciato di sangue finto raggrumato dalla botola di una piccola brasserie nella periferia di Parigi dall’atmosfera meravigliosa, in una scena poi eliminata dal montaggio finale, nei panni di Absirto, lo sventurato fratello macellato della Medea contemporanea di una strepitosa Isabelle Huppert, che mentre girava non tollerava presenza di curiosi e oziosi sul set (“Medée”). Ma tra le memorie più preziose legate a questo eterno fanciullo sognatore - al di là dei suoi set affollati delle belle creature umane che lui catalizzava come una calamita - splendono i periodici pranzetti nella sua mitica casa di Torino nei pressi della Consolata, all’ultimo piano di un antico palazzo storico: un incredibile nido di vita, affetti, pensieri, libri, tappeti, piante e angoli magici, che divide con Mariella, fedele compagna di vita, madre delle sue figlie e nonna di un piccolo esercito di nipoti baciati dalla fortuna, cuoca stellare di pietanze stupefacenti nella loro gustosissima semplicità, insostituibile anima complementare alla sua, votata a sostenerlo, punzecchiarlo, incensarlo e contraddirlo, accudirlo e sopportarlo, come una miracolosa e imprevedibile fata di una lunga fiaba dai contorni inafferrabili. Avevo paura di Tonino di Elena Bucci Avevo paura di Tonino. Stavo uscendo dal teatro Valle di Roma dopo uno spettacolo di Leo, quando mi si avvicina questo elfo con gli occhi lucidi, sorridendo. Mi dice, non mi chiede, mi dice ‘vorrei filmarti’ e io, pur terrorizzata, mi fido della sua stessa confidenza, del fatto che fosse un ammiratore di Leo, della sua immediata simpatia, del fulgido brillio di intelligenza nel suo sguardo. Dico di sì e accetto l’appuntamento al bar, il giorno dopo, se ricordo bene, subito dopo lo spettacolo. Mi informo e capisco chi sia quell’uomo gentile e geniale. Mi piace quel suo andare dritto alle cose senza tergiversare, saltando ogni monito del buonsenso, ogni prudenza, ogni problema tecnico. Ti voglio filmare significa filmiamo. Mi chiede di portare altri abiti oltre a quelli che avrei avuto addosso e io lo faccio. Sono abituata. Faccio così anch’io, mi porto un po’ di tutto e poi si vede. Scelgo d’istinto. Il giorno dopo, come accadde anche al provino con Leo, mi accompagna Marco e siamo così entrambi imbarcati nell’avventura, con il favoloso Donatello Fumarola, operatore d’eccezione, autore di “Blob” e prezioso autista di un secondo motorino. Andiamo nella notte romana, ci cambiamo per strada, improvvisiamo, inventiamo. Tonino è perentorio e gentile, arrendevole, ma determinato nel cercare quello che ha in mente e ancora non sa. Raramente mi sono divertita tanto, mi sono sentita tanto libera e tanto in buone mani. Non ho avuto difficoltà a seguirlo, ad assecondarlo. E così è accaduto altre volte, a casa di un suo amico a Roma, a casa sua, quel sogno di casa arrampicata in alto, in centro a Torino, tutta ardesia e ferro battute per le scale, bassa, di legno, casa che divide con Mariella, dove approdano figli e nipoti ad ogni ora, piena di libri, cinema e piante. Loro due sono personaggi di un film o di un fumetto e improvvisano una sceneggiatura perfetta di rimbeccamenti e prese in giro e poi ricordi e rimproveri e complimenti. Mariella da tempo non vuole più farsi filmare da Tonino, dice sempre quando andiamo a pranzo o a cena, mentre lo rimprovera di parlare troppo e sempre lui, invece di mangiare. Però parla fiera di un documentario girato su di loro, proprio loro due. Tonino filma continuamente la sua famiglia, che a tratti si ritrae e fugge. E quando si diventa amici, filma anche gli amici, anche noi. Ci inseguì fino a Bari una volta. Stavamo replicando uno spettacolo e contemporaneamente preparavo il mio primo studio su Duse. Come accade spesso a Bari, era molto freddo, era il primo giorno di tramontana, in inverno. Tonino prese il treno e venne apposta e io, quella volta, avevo paura. Mi sentivo brutta, impreparata, stanca, svuotata. Mi portò sul lungomare nel vento. Ero quasi arrabbiata con lui. E lui fu meraviglioso. Riuscì a vincere la mia resistenza e gli sarò eternamente grata, anche se quando ci ritrovammo a Venezia per la proiezione mi venne un tale attacco di timidezza che quando vidi la mia fotografia sulla copertina del catalogo della Mostra, mi misi a piangere e chiesi se potevo comprarli tutti per distruggerli. Ah, se ne avessi uno adesso. Come si cambia. Naturalmente tutta l’allegra sarabanda di care persone che circonda Tonino, molto più saggia di me, mi prese in giro e mi passò. Intanto le figlie gli mormoravano all’orecchio ‘è troppo lungo il film papà, taglia taglia’ mentre il montatore frustrato aveva già rinunciato alla battaglia. ‘Come faccio a tagliare?’ chiedeva Tonino, ‘quella è vita!’ Vita miadi Tonino De Bernardi ... Da noi il dentista lavorò nella nostra cucina con la stufa a legna accesa, la cucina economica, poutagè in dialetto. Lì vivevamo tutti noi quattro. Ricordo che, quando noi bambini eravamo ammalati, in cucina si metteva una branda perché stessimo più al caldo, non essendo la camera da letto riscaldata. Brecht, 11-12-48 – La letteratura deve impegnarsi, intervenire nella lotta in tutta la Germania, deve avere un carattere rivoluzionario e mostrarlo anche esteriormente nelle sue forme. Per essa è formalismo ciò che fa sprecare un contenuto rivoluzionario. Penso dunque a Elena Bucci e Marco Sgrosso, “Le belle bandiere”, attori del mio cinema, che hanno messo in scena “L'anima buona del Sezuan” di Brecht. L'abbiamo visto alla prima qui a Torino, ospiti della Stagione TPE (Teatro Piemonte Europa) 2019-20 all'Astra, proprio la settimana prima che si abbattesse su di noi il Corona Virus, forse il castigo inviato dagli Dei, magari proprio gli stessi tre che arrivano nel Sezuan di Brecht. Comunque per il teatro (e anche per il cinema) il Corona V è stato come un colpo di scure. “L'anima buona del Sezuan” di Elena e Marco è uno spettacolo molto speciale, straordinario, con le maschere, di cui voglio parlare ma continuo a rinviare, ho già iniziato qui, forse ho già detto e mi ripeto. Elena è anche la regista ed è giusto che sia così, perché a teatro è importante che faccia anche la regia chi sta dentro lo spettacolo (per il cinema è diverso, dipende comunque da chi sei tu regista e cosa vuoi, penso a Chaplin il sommo...). Io amo il teatro che fa mia figlia Giuli, in teatri molto piccoli... 8 marzo 2020 Carla Lonzi Sputiamo su Hegel - Nel segno di Carla Lonzi e Simone Weil. La donna clitoridea e la donna vaginale. A Milano 1974, cosa è Milano oggi 8 marzo 2020, festa della donna? Sento alla radio leggere pezzi sulfurei di Carla Lonzi che allora aveva un bambino e lavorava, ma oggi non si sono fatti cortei perché proibiti per colpa del Corona Virus. Ricordo Roma quando sono arrivato nel settembre 66; Claudia Giannotti, mia compagna del liceo classico Cavour a Torino, divenuta attrice, in minigonna, che mi ospitava nella casa su in alto di via Frattina, citava tra le amiche Giosetta e cioè la pittrice Fioroni che è ancora viva, ha cinque anni più di me, ma anche Germano lo scrittore Lombardi che era d'origine ligure e non lombardo, dello stesso anno della Fioroni ma già morto... molto simpatico e comunicativo. Lo conobbi allora, era tra i fondatori del Gruppo 63 che io tanto stimavo, era la nostra avanguardia letteraria, Patrizia Vicinelli e Paolo Grifi... Burroughs e Ginsberg coi suoi mantra e i beatnick in America... Il teatro Astra di Torino è... Giuli è estrema più di me col mio cinema... - Aiutatemi! - esclama Elena-Shen-Tè la prostituta verso la fine de L'anima buona del Sezuan, dopo essersi tolta la maschera che l'ha sempre nascosta per tutto lo spettacolo, e lo dice diritta a chi sta di fronte a lei, a noi che siamo gli spettatori in platea. Io l'ho sentito come un invito a superare la barriera tra palco e platea, a unirci tra noi umani. Lei è Shen-Tè la prostituta che si vende e si dona, ma che sa anche donare al di là del suo corpo. Per me è molto importante proporre oggi il teatro di Brecht in questo modo, con maschera e senza. La maschera, oltre che gioco, è anche metafora dell'umano. A Elena e Marco viene in eredità dal teatro loro iniziale con Leo, inoltre. È anche la riaffermazione di una loro cifra. Io sento quell' - Aiutatemi! - che esclama Elena-Shen-Tè la prostituta togliendosi la maschera e mi sciolgo tutto, balzerei immediatamente in avanti a portare aiuto a quel grido, abbracciando tutti loro sul palco, avendo scavalcato, schiacciato i miserandi che sono nelle file davanti a me, sono solo due le file, ma è tale mio impeto! E griderei anche – Vengo! Vengo subito! Resisti! - spalancherei le braccia e porterei bottiglia di plastica d'acqua da bere, ma acqua calda, che così si raccomanda (calda!) in tempo di Virus e Contagio maledetto che ci fa morire tutti, e per primi noi anziani, che, tanto, che ci stiamo a fa' su questa terra ancora a 80 e passa?!? Brecht, 20-8-42 ancora a Hollywood: – Continua sempre a stupirmi il modo primitivo in cui si fabbrica un film. Questa “tecnica” se la cava con una quantità sorprendentemente piccola di inventiva, intelligenza, umorismo e interesse. Si procede arrampicandosi di situazione in situazione e infilandovi tutti i personaggi che capitano. Si mette in conto che gli attori non sanno recitare e gli spettatori non sanno pensare. – L'anno scorso in ritardo io ho scoperto Balzac e scritto la sceneggiatura La commedia umana per Napoli (lì Marco Sgrosso e Elena Bucci sono i narratori dal vivo), che poi ho messo da parte in attesa. Pochi anni fa però, ho filmato parecchio di quella che nelle mie intenzioni doveva essere una mini “serie” (serie a modo mio) sugli elementi primari della vita e i lavori a loro collegati. Ho lavorato intorno per CARNE, con Andrea Falaschi a San Miniato, e OLIO, con Daniele Corrotti vicino a San Giovanni Valdarno. Poi anche ACQUA e VINO. L'unico film montato è stato PANE / PIAZZA DELLE CAMELIE 2008, che venni invitato a mostrare a Massafra in Puglia, perchè alle Elementari si faceva un corso di panificazione. Lì a Massafra mi dissero che Pasolini aveva girato alcune scene del suo VANGELO SECONDO MATTEO, sicché al saperlo io cominciai a scrivere VANGELO SECONDO, cioè secondo dopo quello di Pasolini. Tuttavia anche questa mia sceneggiatura è rimasta tale, cioè non è ancora diventata film, come tante altre, continuo a ripeterlo. Io però spero ancora, la vita mia è anche aperta a imprevisti e svolte nella sua apparente linearità, ma anche questa è un'illusione: in verità non succede mai che avvenga qualcosa di diverso. Comunque il pane è sempre stato fondamentale per me, ancora adesso (risento ancora la voce di mamma a tavola che diceva sempre a noi bambini di mangiare “accompagnando” col pane, io appartengo a quella generazione lì...). Giuli, mia figlia maggiore, è diventata celiaca e il pane è diventato il suo peggiore nemico. Il suo rifiuto del pane è inconsciamente la sua rivolta al padre, è diretta contro l'Edipo (EDIPO RE, Pasolini 1967), cioè va contro il padre che sono io. Stop, basta così! - I° Era una via stretta, come tutte le vie del vecchio quartiere di Les Sables d'Olonne, con il lastricato ineguale e i marciapiedi da cui bisognava scendere ogni volta che si incrociava un passante. Il portone all'angolo era un bellissimo e imponente portone a due battenti, d'un color verde profondo, sontuoso, lucidissimo e con i battagli di rame splendenti come se ne vedono solo in qualche casa di procuratore di provincia o nei conventi. Proprio di fronte stazionavano due automobili lucenti, che davano la medesima sensazione di decorosa agiatezza. Maigret le aveva viste altre volte e sapeva che appartenevano a due chirurghi. “Anch'io avrei potuto essere chirurgo” pensò. E possedere un'automobile simile. Probabilmente, chirurgo no, ma era un fatto che avrebbe potuto essere medico, che aveva iniziato gli studi di medicina e che qualche volta ne aveva nostalgia. Se suo padre non fosse morto tre anni troppo presto... Prima di avvicinarsi alla soglia, tirò fuori di tasca l'orologio: segnava le tre. Nello stesso istante si udì la campana un po' acuta della cappella, poi, oltre i tetti delle piccole case, quella più grave di Notre-Dame. Maigret sospirò e suonò il campanello. - Simenon, Maigret in vacanza, ed. Mondadori. Oggi ho filmato il procedere del lavoro di Franco Ostellino, mio ex-allievo, meccanico auto nella sua officina alla Caserma, frazione di S. Sebastiano Po che noi attraversiamo sulla strada Torino-Chivasso-Casalborgone, appena si svolta lasciando la statale per Casale (v. mappa). Lavorava sulla nostra vecchia Fiat-Punto tra ruote e gomme: doveva cambiare le ruote, mettere quelle invernali, necessarie perchè altrimenti ci danno la multa, ma non più necessarie in realtà perchè sono per strade gelate o piene di neve che certo quest'anno non ci sono... Ora lui è fuori nel cortile di casa accanto all'auto, ora è dentro l'officina, afferra questo e poi quello e si sposta, si china. Lui segue una rigorosa geometria di gesti e movimenti che si ripetono per ogni auto, ogni volta, giorno dopo giorno, di anno in anno. Quanti ne avrà già fatti? Lui dal suo lavoro trasmette al mio filmare lo stesso senso di rigorosa geometria. Intanto nel cortile ho incrociato sua mamma che mi ha chiesto di spostare la mia macchina perchè andava ad un funerale e doveva prendere la sua, aveva una faccia molto seria. Chissà chi è la persona morta e in che rapporto era con lei. Qui in paese ci si conosce tutti e ognuno che muore è qualcuno che conoscevi e che faceva parte del tuo mondo. È quasi come nel Giappone di Ozu nel '56, anche se qui adesso è tutto diverso, ma pure il Giappone è cambiato. Ricordo quando sono stato a Tokyo al festival del cinema italiano con ROSATIGRE, era il 2000: erano tutti in fila davanti a me per avere il mio autografo, una cosa che non avevo mai visto prima. Ricordo anche Koji Wakamatsu (SU SU PER LA SECONDA VOLTA VERGINE, 1969) e gli straordinari attori del suo UNITED RED ARMY, 2007, a cui lui ha comunicato nella festa di fine anno che io li volevo con me in un mio film, BOAT, da girare lì. 21 marzo 1935. È primavera, il sole è tiepido, da quasi dieci giorni le violette sono in fiore, i contadini trafficano nelle vigne. Ieri sera, siamo rimasti ad ascoltare fino a mezzanotte le Valchirie trasmesse da Bordeaux. Ferma militare estesa a due anni. Riarmo tedesco. Preparativi di una nuova guerra all'ultimo sangue. I contadini potano pacificamente le loro viti e concimano le glebe tra un filare e l'altro. Tutto è in ordine. I socialisti e i comunisti scrivono articoli contro la ferma di due anni... ma la segreta speranza dei “capi” è che le cose, bene o male, si aggiustino. Anche qui, tutto in ordine. Ma è un ordine che si è irrimediabilmente scavata la terra sotto i piedi. Crollerà con fetore... - Lev Trockij, DIARIO D'ESILIO 1935 , Il Saggiatore Milano 1960. A radio3 i raga di un indiano mi hanno accompagnato tutto il tempo che ho dedicato qui a Montalbano di Camilleri e Trockij o Trotskij o (in francese) Trotsky, straordinari, di un indiano che vive a Napoli con un'italiana, tanto che ha cantato e suonato alla fine le canzoni napoletane come un raga. BOAT, il film del Giappone, racconta di un’imbarcazione a cui è impedito di sbarcare i suoi passeggeri, tanti e di vario tipo, ogni volta che attracca ad un porto. Così si muove lungo le coste del Giappone. Questo soggetto mi è venuto da un altro, CAMION, INIZIO E FINE, compimento e fine, che ho scritto per primo. Per alcuni anni sono stato invitato dalla Mostra Internacional de Cinema de Sao Paulo, quando c'era quel direttore che amava molto l'Italia (ora c'è la moglie Renata de Almeyda). Avevo scritto un soggetto di sei pagine, tradotto anche in francese e brasiliano. Un camion va dal Sud (presso Florianopolis) al Nord del Brasile (il contrario dell'emigrazione interna brasiliana). Alla guida si avvicendano delle donne, mentre nel retro del camion stanno nascosti i loro uomini che hanno tutti dei problemi con la giustizia. Per questo il camion fa dei percorsi laterali per non incontrare posti di blocco, arriva fino ai confini con la Columbia. Via via però, le persone si avvicendano sul camion, c'è chi sale e chi scende, ognuno con la sua storia. Una delle conduttrici del camion doveva essere Betty Farìa, la star delle novelas brasiliane con cui abbiamo fatto MARLENE DE SOUZA, 2004, un'altra Maria de Medeiros ma anche Ines, le sorelle portoghesi, e le mie figlie Giulietta e Veronica con Rossella Dassu e Joana Curvo di Sao Paulo. Isabel Ruth sarebbe stata Gloria, pure voce narrante. Tra gli uomini, Lou Castel, il brasiliano Fernando Eiras, Tommaso Ragno, Filippo Timi, Nicola Siri e altri. Quando il camion si ferma, le donne fanno spettacolo per racimolare dei soldi. Il camion raggiungerà dopo Salvador de Bahia il Sertao e poi si perderà tragicamente nell'Amazonia... Per qualche anno sono stato così folle da parlare di un progetto di film del genere (in realtà bellissimo) che volevo realizzare con pochi soldi ma tanta solidarietà. Ma la vita... La vita in Brasile ha disposto diversamente (morto per malattia il direttore amico di Sao Paulo), così anche a Tokyo. Il mio amico Wakamatsu è mancato di colpo , travolto da un taxi in strada, una disgrazia. L'ultima volta l'ho visto alla Mostra di Venezia che presenziava alla proiezione del suo film, lo guidava Viviana Andreani, ritrovata al Beaubourg con Teresa Villaverde - ... Fra un momento lui – il tempo di aspettare lo scatto della porta... – lui sarebbe diventato un altro uomo. Non un uomo, veramente, benchè le spalle massicce del commissario Maigret e la sua figura... Fin dai primi passi nel largo corridoio si sentiva come un bambino, come il piccolo Maigret che, nel suo villaggio dell'Allier, camminava in punta di piedi trattenendo il respiro... per indossare l'abito da cantore. Qui l'atmosfera era quasi la stessa... “Buon giorno, sorella...” ...Una suora , con la larga cuffia inamidita, seduta davanti a un registro, gli sorrise dicendo: “Buon giorno, signor 6. Telefono per sentire se può salire... La nostra cara malata migliora di giorno in giorno.” Quella era suor Aurélie. Nella vita comune sarebbe stata probabilmente una donna di una cinquatina d'anni, ma, sotto la candida cuffia, il suo viso liscio come un budino non aveva età. “Pronto” articolò con voce smorzata. “E' lei Suor Marie des Anges? Il signor 6 è qui.” Maigret non se la prendeva, e nemmeno si spazientiva... Sapevano che arrivava alle tre precise. Suor Aurélie gli sorrideva... - G.Simenon, Maigret in vacanza, Les vacances de Maigret (1948) ed. Mondadori 1979. Le suore come sono vestite dipende dall'Ordine... Le mie suore dell'asilo San Giuseppe di Chivasso erano in nero e marrone che scendeva tutto liscio dalla testa. All'altro asilo di Chivasso in grigio-azzurro-blu a righe e già in testa un cappuccio rialzato. Al santuario di Oropa due alette bianche si alzavano ai lati dalla testa, pronte a spiccare il volo... Qui a Torino alla Consolata e oltre, al Cottolengo, in grigio, dimesse... Scriverò ora di Mara Di Fabio che è morta da poco, cinque anni più di me, ma mi sento insufficiente. Una vita è qualcosa d'immenso. Darò una visione mia, parziale di lei. Lei è la star accanto a Adriano Spatola ne IL MOSTRO VERDE (1967 film 2 schermi di Paolo Menzio pittore-scultore e me, lui con Paillard 16mm. ma anche acting come me). Se Warhol (del Leone come lei, ma di 4 anni più vecchio) avesse conosciuto Mara (la butto lì), l'avrebbe amata per l'eccentricità come amò la brasiliana Carmen Miranda. Accosto le due perchè penso alla vivacità creativa della Mara 1967 (per chi non lo sappia, Miranda portava in testa nei suoi musical acconciature di frutta tropicale la più varia e Mara si faceva dei turbanti uscendo di casa). Avrebbe avuto tutti i numeri per diventare secondo me un'immagine pop di Warhol, ma noi stavamo a Torino e non New York. - 14 febbraio 1935 I Lloyd George, i Baldwin, i Roosevelt, per non dire i MacDonald, paragonati al vecchio, lungimirante Engels, sembrano tutt'oggi (in realtà oggi, più che ieri) ciechi pupazzi. E che imbecilli sono tutti questi Keynes, a dichiarare smentite le prognosi marxiste! Per quel che posso giudicare dai giornali ricevuti, i lacchè di Stalin in Francia – Thorez & C. - hanno ordito coi leader democratici di destra un vero e proprio complotto per lanciare una campagna contro i “trockijsti”, cominciando dalle organizzazioni giovanili. Quanto tempo hanno speso Stalin e Bukharin nel proclamarci “deviazione socialdemocratica” prima, “socialfascisti” poi? (pag.28) - Lev Trockij, DIARIO D'ESILIO 1935, Il Saggiatore Milano 1960, I Garzanti 1975. Uno dei temi personali del Diario è la storia dell'ultimo anno di soggiorno in Francia, nella piccola borgata alpina di Domène, presso Grenoble. Qui, per disposizioni tassative del governo francese, egli visse in incognito, e per la prima volta senza segretari né amici, solo con la moglie (Natascia che accudiva alla casa e assisteva lui, sebbene anch'essa malaticcia) pag.11 - La Harvard University Press .... (continua) I commenti sono chiusi.
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