CINEMA TEATRO ITALIA
racconti di esperienze d'arte dal pianeta Italia
a cura di Elena Bucci
di Francesca Pica Sono le cinque del mattino, fa freddo, sono avvolta in una coperta e fumo al mio balcone. Tutto tace, sempre non solo a quest’ora. Il signor Alfredo, da cui vado a comprare la carne, ieri era disperato: “Io so abbituato al rummore, il mio quartiere è rummoroso, tutto sto silenzio me da il tormento”. Mai ci eravamo scambiati qualche parola che andasse oltre l’ordinazione e “grazie, buona giornata”. Non avrei mai pensato che potesse mancare il caos di Roma. Io sono abituata al silenzio e questo, checché ne dicano i cittadini, non è silenzio! Ci ho messo quasi nove anni ad apprezzare a pieno questa città, compreso il suo suono e ora me ne sto a guardare i tetti, le strade i terrazzini, i cortili, i parchi in lontananza, gli archi e ne provo un grande piacere. Forse mi sono solo abituata o forse la città mi ha conquistata con caparbietà. È entusiasmante la vista da quassù, dall’ottavo piano: palazzi di vari stili e varie altezze, nuovi e meno nuovi, si intrecciano l’uno nell’altro, a creare in alcune zone una corte interna a volte ricca di verde a volte interamente cementificata. Balconi, balconcini e tante finestre. E poi i terrazzi, piccoli, grandi, infossati, in alto, curati, abbandonati e in cima a tutto quelli condominiali. Nessun palazzo nei dintorni supera il mio in altezza, ogni sera mi pare di scoprire nuove verande che si illuminano in lontananza piene di storie da immaginare. Tutto è distante, patinato, sfuggente, la sensazione di solitudine resta sempre, anche ad ora di cena quando tutti sono rincasati, tutte le luci sono accese e i riflessi delle TV mi richiamano dai vetri. Ma in questi giorni molte cose sono cambiate: mai in questi anni mi era capitato di vedere così tante persone sui terrazzi condominiali. Da una moltitudine omogenea, viva sicuramente ma anonima e nascosta, ecco che sono spuntate le persone. Sono affiorate portando un nuovo ritmo, una nuova serie di gesti e abitudini, alla luce del sole, fuori dalle case. Alla mia destra, al mattino presto sul terrazzo condominiale del secondo palazzo di via Pesaro due giovani uomini si tengono in forma: il cappuccio della felpa tirato sul capo, non sono improvvisati sono sicura siano dei professionisti dello sport, veloci si muovo a specchio e in perfetto sincrono. In tarda mattinata è il turno di due amiche, sul terrazzo del secondo palazzo di via Macerata, che armate di computer e libri stendono teli a terra e si mettono al lavoro a qualcosa di estremamente importante, si confrontano, scompaiono e tornano dopo poco con tazze di tè fumanti. Dopo un’ora sale una coppia giovane, forse sono fratelli, lei fa foto e lui ne approfitta per scoprirsi e prendere il sole. Puntualmente, dopo una mezz’oretta, spunta il signore pienotto del terzo palazzo di via Macerata che esce a prendere un po’ d’aria, il suo terrazzo è più in basso. È malinconico, sempre con le mani in tasca, si vede che gli fa piacere scambiare due parole con la coppia giovane, forse è in casa da solo. Ed ecco lì in fondo, non saprei dire precisamente la via, spuntano i due fratellini su un terrazzino ricoperto da erba sintetica e pieno di giochi, la mamma li sorveglia e chiacchiera alacremente con una signora di una certa età seduta sul balcone che affaccia proprio sopra le loro teste, c’è anche il cagnolino che fa avanti e indietro. Alla mia sinistra il grande movimento comincia dopo pranzo per arrivare al culmine alle 18, ora in cui ci si era dati un appuntamento per suonare, cantare assieme, darci forza. A molti è sembrata una pratica stupida, offensiva, non rispettosa della tragedia che stiamo vivendo e infatti è andata piano piano scemando. Alle 18 io esco sempre per vedere se qualcuno è giunto all’appuntamento ma ultimamente c’è solo l’elegante signore brizzolato del settimo piano che fuma le sue sigarette, ci guardiamo, a volte basta poco per non sentirsi soli. Ma cosa sono questi rumori? Ecco perché mi sono svegliata, non sono stati i pensieri foschi delle altre notti. Provengono dal terrazzo condominiale difronte! Che siano dei ladri? Vedo anche delle luci. Devo avvertire qualcuno, chiamare la polizia! Calma, forse è semplicemente un insonne come me stanco di aggirarsi tra le mura di casa. Il terrazzo di fronte, che è due piani più in basso del mio balcone, è desolante ma più curato del solito, le piantine che giacevano rinsecchite sono state sistemate e sono piene di piccoli boccioli. Ecco, riesco a vederlo! È un uomo o una donna? La figura è illuminata da una luce radente e si staglia sul muro bianco del palazzo accanto. È in prossimità del cornicione e sta salendo su qualcosa, uno sgabello o una sedia, non riesco a vedere bene. Il tempo si ferma e l’aria mi manca, un pensiero orrendo mi assale. Qualche mese fa, di notte, l’inquilina del sesto piano del mio palazzo si è tolta la vita buttandosi giù, nel cortile interno. Viveva da sola. Le cause sono rimaste ignote. Era considerata una stravagante, lasciava biglietti intimidatori ai condomini e non si presentava mai alle riunioni e quando ho traslocato e sono venuta a vivere qui mi ha rubato uno degli scatoloni di cartone imballato con dentro gli utensili della cucina. I miei pacchi erano tutti accanto all’ascensore e io facevo su e giù, su e giù, su e giù, apro la porta e me la trovo davanti con uno scatolone tra le braccia, mai vista prima, la saluto mentre lei prende il mio posto, io le tengo la porta aperta e penso: “ma guarda che strano, starà traslocando anche lei” e chiudo la porta. La lampadina si è accesa giusto in tempo per vedere dove era arrivato l’ascensore “Sesto piano! Ah, stregaccia, che bell’accoglienza!” Ho sempre provato una grande fascinazione nei suoi confronti da quella volta ma la incontravo poco, non usciva mai. Quanto può essere difficile convivere con se stessi quando si è soli? Forse le ombre dilagano senza possibilità di tenerle a freno e chi ci può salvare se non c’è nessuno a fare luce? La figura sul terrazzo è protesa verso il cielo come pronta ad un grande slancio, non faccio in tempo ad aprire la bocca per urlare che mi giungono all’orecchio dolci versi... è un attore. Quale magia! Il triste terrazzo di cemento si trasforma in un palco a cielo aperto, io mi ritrovo in un palchetto centrale, la voce dell’attore arriva fino a me, mi sembra quasi di averlo accanto, il mio cuore accelera i suoi battiti ancor di più quando mi accorgo che altre persone si stanno affacciando a guardare cosa accade. In poco tempo le finestre, i terrazzini e i balconi dell’intero isolato si sono popolati, tutti assorti, vicini più che mai, in silenzio ad ascoltare: “Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori, le cortesie, le audaci imprese io canto, per avversar un mal ch’ai nostri cuori dall'Asia al mondo intero nuoce tanto. L’anima nostra affligge, miei signori, ci tiene spaventati e in mesto pianto per i continui lutti che patiamo ch’io qui con voi adesso celebriamo. Vi farò udir, se voi mi date orecchio, le storie vere ad arte romanzate, che ad illustrar con laude m’apparecchio, da questo male oscuro via spazzate. Con voi di sera in sera io qui m’arrischio com’altri in luoghi vari, immaginate, a raccontarle come fosser gesta porto sicuro in sì tale tempesta. Omaggio sia, potente qual sincero non un pomposo ossequio ad un altare, diventi parte, in modo onesto e vero, della memoria nostra per ampliare le strade che, dopo il periodo nero ci troveremo presto ad esplorare. Il primo della lista è un imbianchino vi dico cosa fece da bambino. Davvero straordinario è questo caso ha luogo sulle rive dell’Iseo che padre madre e figli ebbero invaso per una gita, unico trofeo d’una settimana…” I commenti sono chiusi.
|
Gli intenti di Cinema Teatro Italia...
Tutti
|