CINEMA TEATRO ITALIA
racconti di esperienze d'arte dal pianeta Italia
a cura di Elena Bucci
di Nicoletta Fabbri In questi giorni, anche se i numeri tendono a dare una lieve forma di sollievo, può succedere di essere attraversati dalla paura che tutto finisca da un momento all’altro: che domani non ci sia più una persona a cui teniamo, che da ora in poi non si riesca più a lavorare, che quando usciremo dalle case saremo così storditi da voler rientrarci subito, che il respiro affaticato dal fumo sia un segnale che tocca anche a te. Mi sono scornata più volte con un modo di dire entrato nel gergo comune come un tormentone: ‘come se non ci fosse un domani’. Non mi piace, soprattutto abbinato a frasi del tipo: ‘hanno mangiato come se non ci fosse un domani’ o ‘quello compra come se non ci fosse un domani’. Ex Scuola Elementare di Fossolo, una delle sedi della compagnia Le Belle Bandiere, foto di Giovanni Mancini per “La città del Sonno” 2006 La banalizzazione del linguaggio è triste. Ma nei primi giorni di clausura confesso che ho immaginato veramente che non ci fosse un domani. Non che abbia paura che il mondo finisca, ma l’impossibilità di prevedere del tutto il futuro, in qualche momento crea l’humus ideale per lo sviluppo dei virus della mente. In questi giorni in cui si accosta a buon titolo la sanità alla santità e in cui gli ex voto ai crocicchi delle strade sono deserti, trovare un rifugio, un’alcova dei pensieri buoni è utile e, senza per forza destabilizzare il potere dei mezzi di comunicazione digitale, che sono essenziali, sento che devo trovarlo altrove. Chi si prende cura dei miei pensieri buoni in questo momento è una casa: la casa di Fossolo. La casa di Fossolo è una dimora privata, ma è anche la casa di una compagnia, la sua base operativa, il suo quartiere generale. Delle volte la generosità fa questi scherzi. È una ex scuola elementare in mezzo alla campagna, come le facevano un tempo. Forse anche a questo è dovuta la sua vocazione all’accoglienza e alle fantasticherie della creazione. È una casa abituata a persone che vanno e che vengono, che a volte si fermano e dopo pochi o molti giorni ripartono. C’è un grande libro nell’ingresso che a sfogliarlo dà la misura del tempo che corre e delle persone che vi sono entrate. Ma qui dentro, quello degli esseri umani non è l’unico mondo: ci abitano gli autori di una sterminata libreria in cui non si trovano mai i libri che si cercano, i personaggi del teatro che hanno preso vita nelle camere, fra i corridoi, nella sala prove ora straripante di costumi sottratti all’umidità del magazzino, i fantasmi di compagni, amici, maestri che non sono con noi, ma che sempre tornano a trovarci. Ogni tanto si avvista, in alcuni antri meno frequentati, anche qualche insetto sconosciuto, subito invitato a uscire, e dalla campagna attorno riceviamo regolarmente visite di alcuni cani e gatti che amano sostare qui come fosse un asilo. E poi ci sono le piante, senza esclusione di specie e provenienza, sottoposte a una resistenza estrema nei mesi invernali quando il freddo e la solitudine le debilitano, ma pronte in primavera a esultare e a moltiplicarsi. La popolazione di Fossolo si scava il suo spazio in mezzo a scaffali, mensole, scatole, vetrate colme di bicchieri che arrivano da mercatini, metri di stoffe provenienti da magazzini in chiusura, antichi corredi da bagno ancora intonsi, oggetti dimenticati, regalati o anche solo appoggiati per un paio di giorni che sono diventati mesi e poi anni, cassette di attrezzi bizzarri inventati da qualche amico artigiano che ha dato una mano per un lavoro, piccoli elettrodomestici anziani a cui si chiede di non finire mai, lampade e abatjour, tante, che cambiano sempre di posto e giocano a nascondino. E poi i reperti, che anno dopo anno non finiscono di emergere e intanto si sommano al materiale di oggi: dai copioni degli spettacoli con Leo de Berardinis alle fotografie e i video degli eventi ideati in favore della riapertura del Teatro Comunale di Russi, dai programmi di sala dei tour di tutti gli spettacoli alle locandine e i manifesti storici, dai documenti amministrativi chiusi in faldoni ai libri pubblicati, gli articoli di giornale, le riviste, i segnalibri, le cartoline di artisti e compagni d’avventura, i testi di autori che propongono una messa in scena. Quasi trent’anni di storia di vita e teatro sparsi in tutti gli angoli della casa, fra le valigie e i pacchi appena arrivati, i leggii e i cavalletti delle videocamere, le sedie del cinema di Bagnacavallo e i mattoni del Palazzo di San Giacomo, i letti di fortuna ricavati ovunque, le poltrone e gli attaccapanni che spesso spariscono perché finiscono in uno spettacolo, poi tornano. Sono stata invitata a Fossolo per la prima volta nel 2006, durante la prima edizione della “Città del Sonno”, un movimento ideato da Elena che riuniva artisti di varie discipline che in quei mesi estivi abitavano e realizzavano spettacoli e opere anche nella scuola. C’era spettacolo ovunque. Ero precipitata improvvisamente nel mio elemento: un luogo dove vita e teatro vanno a braccetto come una vecchia coppia inseparabile e non si capisce dove finisca l’uno e inizi l’altro. Dormii in una delle stanze al piano di sopra e quando me ne andai dimenticai un paio di sandali, che mi aspettarono vicino al letto tutta l’estate, e forse girano ancora in qualche scatola. In quella funambolica edizione della “Città del Sonno” la scuola di Fossolo era stata allestita con letti, lettini, quadri e installazioni: una “casa d’arte” aperta al pubblico e, nonostante non abbia mai smesso di esserlo, oggi si sta rivestendo in modo nuovo di quell’abito, attraverso i progetti di letture avviate da alcuni mesi a questa parte e ora sospesi, ma in attesa di ripartire. A parte un’adesione del tutto personale – sento come un dono vivere questo momento in un silenzio produttivo, abitato da un mondo vivo e parlante, che necessita di cure e di attenzioni troppe volte sottratte dalle più urgenti necessità del nostro lavoro – rifletto sul valore di luoghi come questo, che immagino sparsi nel mondo senza che il mondo lo sappia, unici nelle loro similitudini, indefinibili e contenti di esserlo. Mi chiedo quanto possano costituire una risorsa per una comunità di artisti, quanto lo siano stati fino ad oggi, e quanto lo potranno essere in un futuro che per ora non lascia intravedere rosee prospettive di consolidamento. I commenti sono chiusi.
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