CINEMA TEATRO ITALIA
racconti di esperienze d'arte dal pianeta Italia
a cura di Elena Bucci
Cronaca del mio incontro con il teatro e dell’incontro con le Belle Bandiere di Anna Paola Oliva (Apolaiva) Il primo incontro con Antigone e Medea fu all’epoca del ginnasio. Allora una distanza infinita mi separava dallo spirito di queste due donne, mitiche eroine della tragedia greca. Sui testi antichi mi sembravano inchiodate al foglio, senza alcuna terza dimensione. Un po’ meglio mi apparvero a teatro, dove noi studenti del Liceo Classico Terenzio Mamiani entravamo gratis per assistere alle rappresentazioni inerenti al programma scolastico. Ma ancora tutte e tre, Antigone, Medea ed io, non sembravamo destinate a comprenderci e ad amarci. Erano gli anni intorno al rivoluzionario ’77. A Bologna moriva Francesco Lorusso, un anno dopo avrebbe pagato Aldo Moro. I miei compagni ed io, studenti privilegiati ed esenti da ogni fermento politico, partecipavamo ad ogni sciopero o corteo con poca coscienza, e finivamo regolarmente a giocare a boccette da Capobianchi o, coll’avvicinarsi dell’estate, stesi alla “bagnarola” di fronte al mare, a fantasticare su un futuro che, pensavamo, non ci avrebbe mai delusi. Anche le serate al Teatro Sperimentale non erano in verità sorrette da una particolare curiosità per gli spettacoli e abnegazione per la scuola. L’uscita serale per andare a teatro rappresentava però un distintivo di “adultità” ed aveva un fascino sufficiente per condurmi ad appollaiarmi su una scomoda poltroncina e fare la conoscenza di un mondo di strani personaggi fra i quali le signore di Tebe e della Colchide. Che tipe quelle due! Che esaltate, che cocciuta Antigone, che esagerata Medea, addirittura le mani sui figli! No, non ero decisamente pronta, non avevo ancora capito che il teatro è il luogo dell’osmosi, che ciò che è di Antigone o di Medea è anche mio, che a teatro siamo tutti bambini e tutti vecchi insieme, tutti veri e tutti finti. Adesso so bene che se io posso stupirmi per l’irreprensibile codice morale di Antigone, lei si può meravigliare di me e svergognarmi perché facevo sciopero per andare a giocare a boccette. E che dire di Medea, certo che i figli non si toccano, ma la vedo, insolente, indomita, con una sigaretta in bocca, dirmi in faccia: “che ne sai tu che non li hai fatti!” Adesso che siamo diventate amiche so tutto questo. Dopo il liceo, mi sono tuffata in un mondo parallelo e in apparenza del tutto divergente dagli studi classici. Ho bivaccato per anni a Bologna per diventare ingegnere, tra teoremi, derivate, integrali, meccanica razionale, scienza delle costruzioni, gelidi inverni e commoventi primavere. Ed è stato in quegli anni che ho sentito il bisogno di aprire una stanza dentro di me, un luogo segreto di consolazione e abbandono, di redenzione, dove potevo essere quella che non ero e fare ciò che volevo: suonare, cantare, scrivere poesie, recitare. Nello stesso tempo andare a teatro è diventato un piacere, un’abitudine, un’esigenza. Tutto ciò sempre e solo da spettatrice, ma affamata di emozioni e di conoscenza, se si può dire, una spettatrice partecipante. Una che la serata a teatro se la gusta prima, durante e dopo e che se lo spettacolo delude si porta a spasso il malumore anche il giorno seguente. L’incontro con le Belle Bandiere è arrivato per tappe. Nell’agosto del 2012 ho conosciuto Nico in un borgo arroccato sulla falesia del San Bartolo, tra Pesaro e Rimini. Era venuta a trovare una comune amica che esponeva alcune sue opere nella saletta comunale di Fiorenzuola di Focara; si era mossa in vespa dai colli romagnoli. Io, quel pomeriggio di agosto, ho avuto la stessa idea ma proveniente da Pesaro in auto. Nell’inverno antecedente la compagnia era stata nella mia città, al Teatro Rossini, a due passi da casa mia, per rappresentare “Antigone ovvero una strategia del rito” ma erano i giorni della famosa nevicata del 2012 e me l’ero persa. Qualche mese dopo, il 15 febbraio 2013, Antigone bussa ancora alla mia porta: al teatro Bramante di Urbania le Belle Bandiere portano in scena lo spettacolo. Mi organizzo in un lampo e prendo un giorno di ferie per gustare anche la conferenza della compagnia con gli studenti nel pomeriggio. Ed è qui, nei vicoli di Urbania, che arriva la seconda tappa dell’incontro con le Belle Bandiere: conosco Elena e Marco e poi li ascolto nella presentazione dello spettacolo. Uno studente chiede come sia possibile recitare anche in momenti di difficoltà e di dolore, Elena risponde ed io capisco che quella persona mi piace. Dico persona, perché dell’attrice sapevo già molto. È dall’incontro con le Belle Bandiere che ho sentito il teatro a casa mia, nel mio quotidiano. Una rivoluzione “copernicana”. Che strano, non avevo più bisogno di andare in un luogo deputato alle rappresentazioni per sentire tutta la forza e l’espressione del fare teatro. Era il teatro che veniva da me, e lo faceva nelle conversazioni con i nuovi amici attori, nella condivisione dei loro progetti, della fatica delle prove, della gioia per l’incontro con il pubblico. Tornando a Urbania, quella sera di febbraio 2013, preso posto in sala, dopo tanti anni di reciproca indifferenza, ecco ancora lei: Antigone. È il mio primo spettacolo delle Belle Bandiere e rimango letteralmente estasiata. È un’Antigone rock, se il rock è rottura, anticonformismo, è un’attitudine a indurre vibrazioni nelle coscienze. Questo linguaggio anticonvenzionale mi cattura. Le tragedie greche degli anni del liceo sono lontane anni luce. Questo nuovo modo di fare teatro mi coinvolge, capisco che a queste condizioni io voglio, devo starci dentro. Inizia la mia carriera di fan della compagnia. Divento l’Apolaiva da una libera manipolazione del mio indirizzo email da parte di Bucci. A fine 2015 arriva anche Medea. In anteprima al Teatro Comunale di Russi le Belle Bandiere portano in scena “La canzone di Giasone e Medea”. Io ci sono. Di questo spettacolo mi innamoro e, proprio come succede quando ci si innamora, non si conoscono i motivi. Mi piace tutto di “Medea”: la scena molto espressiva nella sua essenzialità, il ricorso al simbolo nella comunicazione visiva, il linguaggio “underground” con incursioni dialettali, il connubio tra protagonisti principali e coro che sembrano compenetrarsi e alimentarsi reciprocamente. Come dice il titolo: è una canzone, ti porta via come una bella canzone. Sono tornata a vederlo a Brescia nella primavera del 2016 e poi l’ho rivisto recentemente in streaming. E lo rivedrei ancora dal vivo. Oggi Antigone, Medea ed io siamo diventate amiche. Abitano entrambe in un paese della bassa romagnola. Io dalle Marche mi sono spostata in Romagna. Antigone si è laureata in sociologia; fin da giovane si è impegnata negli ambienti della sinistra locale e su di lei erano state riposte speranze di ascesa nel partito a livello nazionale ma, senza ripensamenti, ha deliberatamente rinunciato ad ogni velleità di carriera politica per incomprensioni con le alte sfere. La sua innata difficoltà a scendere a compromessi e la sua vocazione etica e morale non sono certo compatibili con il fare politica dei nostri giorni che di “polis” ha solo la radice del sostantivo. E così Antigone ha istituito, insieme al suo compagno, una fondazione che si occupa di sostegno all’immigrazione e supporto ai rifugiati politici. La sorella Ismene è sposata con un impiegato comunale, ha due figli, canta nel coro della chiesa. A Natale cucina per tutti e piange disperata perché nessuno dei suoi fratelli risponde ai suoi appelli. Eteocle e Polinice sono ormai due fotografie sbiadite che Ismene mette in faccia al Papa quando dà la benedizione in tv, la sorella Antigone è sempre impegnata, ha sempre qualcosa di più importante da fare. L’ultimo Natale era in Costa d’Avorio con il compagno che è medico e lavora per Emergency. Medea ha un’agenzia di viaggi con sede a Russi, vicino a Ravenna, e ha aperto anche un’agenzia satellite a Corinto, in Grecia. Così, tanto per lasciarsi aperte più strade. Dopo anni di analisi transazionale, non è ancora riuscita a gestire al meglio le emozioni che, in certi momenti, hanno ancora il sopravvento su ogni correttivo razionale. Nonostante questo, tra alti e bassi, tra una scenata di gelosia e l’altra, riesce a tenere in piedi il suo matrimonio con Loris, un piccolo industriale locale. Anni fa Loris lasciò la moglie per inseguire un sogno: sembrava che un importante imprenditore del Nord gli offrisse un posto da manager ed anche la bella figlia di lui doveva far parte del pacchetto. Poi, non si sa come né perché, la giovane fu investita da una’auto pirata e non rimase in vita. Non si è mai scoperto chi fosse stato l’investitore perché la sua automobile andò a fuoco nello scontro. Rimasero a terra solo due lettere della targa: RA. Il progetto di Loris sfumò e rimase a casa sua in Romagna con Medea. Forse per salvare il matrimonio hanno fatto, ormai da tempo, domanda per avere uno o due bambini in adozione ma, inspiegabilmente, non riescono a superare il colloquio con gli psicologi. Sembra che Medea non convinca per chissà quale motivo. A Loris va bene così. Medea sfoga la sua delusione a lezione di danza del ventre tutti i giovedì nella palestrina di quartiere. Antigone, Medea. Le ho conosciute personalmente qualche anno fa, era estate, a Palazzo San Giacomo c’era uno spettacolo delle Belle Bandiere, Smemorantes. Nei corridoi bui del Palazzo, guidati dalla torcia di Elena, noi spettatori ci snodavamo da una stanza all’altra. Mi sembrava di riconoscere nella penombra i loro volti, dovevo averle già viste. E poi mi è sovvenuto che entrambe erano state presenti ad altri eventi della compagnia. Ecco, sono fan delle Belle Bandiere come me, ho pensato. Dopo lo spettacolo, abbiamo fatto uno spuntino sul prato davanti a Palazzo San Giacomo e, tra una fetta di torta e un bicchiere di vino, ci siamo finalmente presentate. Avevo capito bene, sono entrambe appassionate di teatro e non perdono neanche uno spettacolo delle Belle Bandiere, come me. Delle due oggi sono più amica di Antigone, Medea è una brava ragazza ma a volte è molto sopra le righe. Io progetto e costruisco strade, scuole, palestre e a volte anche cimiteri. Antigone è appassionata di arte e storia antica e, in particolare, di camposanti monumentali. Ogni volta che devo progettare un cimitero la chiamo e mi faccio consigliare, lei è sempre molto contenta di dare il suo contributo e sempre si preoccupa, a quanto pare per vocazione naturale, che tutti abbiano una ridente e serena sepoltura. Ossimoro a parte. I commenti sono chiusi.
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