CINEMA TEATRO ITALIA
racconti di esperienze d'arte dal pianeta Italia
a cura di Elena Bucci
di Carlo Bruni Ecco, adesso nevica. In una piccola casa sul mare questa quarantena non è poi così drammatica. Anche soltanto la finestra, con questo clima ballerino, trasmette continuamente paesaggi diversi, mettendo in scena albe e tramonti, primavere e inverni, in una sequenza che sembra aver dimenticato l’ordine del tempo, confermando l’innaturalità di quanto andiamo vivendo. In una mini piramide sono al vertice se penso a chi, magari in un condominio di Gratosoglio a Milano, vive in due camere e cucina con moglie e tre figli. E quanto svetta il vertice se incremento il grandangolo per inquadrare “quello lì”, sotto il portico o il ponte, in pieno centro, che si è ricavato con il cartone dismesso del frigorifero classe A+++, il riparo per questa imponderabile notte? Le giornate trascorrono intense, tanto da dover rinunciare spesso a un appuntamento prezioso - in internet s’intende - perché già impegnato in una riunione skype dedita alle innumerevoli questioni che l’emergenza in corso pone o in una diretta culturale. Oggi leggerò qualche pagina dal bel libro di Paolo Di Paolo, domani una poesia della Candiani e inquieto, in questa maratona espositiva, nel tardo pomeriggio non mancherò il tour parentale delle videochiamate, in cui constatare, ancora una volta, l’assenza di mia figlia, che puntualmente mi snobba vantando degli impegni che le impediscono di rispondere alla chiamata. Nel quadro, non posso tralasciare la personale gratitudine verso RaiRadio3 che stamane mi ricorda la perdita di Arbasino accostandola giustamente a quella di Lucia Bosè: donna intelligente, dalla sorprendente biografia, che con il primo sembra raccontare un mondo ed è invece parte di una piccola tribù in fondo nell’angolo. È curioso il coro dominante che intona “lo Stato, lo Stato!”. La schiera annovera fra le voci canti e controcanti che invocano il protagonismo dello Stato, con curiosa sintonia nel proclamare il primato del Pubblico sul Privato, salvo aver ridotto negli anni alle pezze il primo, alimentando uno squilibrio enorme nel secondo, con la piramide che qui esprime distanze siderali fra la base e il vertice. Un vertice abitato da pochissime incommensurabili ricchezze alle quali, ciecamente, ci ostiniamo a chiedere prestiti. Ci assicurano a tassi agevolatissimi. Un vertice che abbiamo “imparato” a considerare piuttosto che il gotha degli usurai, l’Olimpo dei benefattori, sensibili alla neve e pronti ad elargire qualche coperta militare, commossi sinceramente dallo stato di povertà in cui versano i loro concittadini dei piani più bassi. Ovviamente quelli dello stesso condominio, perché gli altri “stiano a casa loro”. Non so se l’attuale dramma porterà veramente a un cambiamento. E anzi ho il timore che l’esperimento in corso possa far apprezzare a tanti l’efficienza di uno Stato autoritario, capace brillantemente di risolvere le crisi anche più gravi, grazie all’obbedienza diffusa, alla splendida capacità di stare nella regola senza fare domande. E per i trasgressori, oltre l’esercito, è molto più efficace l’arma tecnologica, in grado d’identificarli addirittura prima che trasgrediscano. Altro che distopico! Pessimista? No. Volete che non mi accorga di quanto si vada diffondendo il valore dei beni comuni? Anzi, proprio per un eccesso di ottimismo, penso che questo sia il momento migliore per piantare nuovi semi, a patto che lo si faccia senza aspettare che passi la nottata. Per questa ragione credo si debba porre all’attenzione di una comunità - che in vero sta mostrando qualità straordinarie - quanto chiedere pedissequamente allo Stato di risolvere il problema sia contraddittorio. Quanto necessario sia dare maggiore concretezza allo slogan “non se ne esce da soli, ma insieme”, partendo da una riflessione sul tema dell’equità, per poi articolarla nelle voci che riguardano la salute, l’istruzione, l’ambiente, il lavoro... C’è bisogno di un impegno nuovo che trasformi le istanze personali in domande collettive, in rappresentanza: in Politica. Sembra si vada sdoganando il valore della fedeltà fiscale e il commisurato contributo di ciascuno per la tenuta dello Stato. Di fatto è certo che, se non si lavorerà insieme per un mondo più equo, sarà difficile pensare che le cose si possano risolvere soltanto indebitandosi di più. Un patrimonio privato enorme continua a crescere esponenzialmente grazie ad una base che non ce la fa col proprio lavoro a stargli dietro e si allontana sempre di più. Quale tabù ci è stato inculcato per non farci chiedere meno prestiti e più equità? Ecco, stamattina penso al contadino che dovrebbe essere considerato un lavoratore decisivo e che, già piegato dal virus, oggi si affaccia alla finestra e vede cadere la neve sul fiore del ciliegio. È primavera? I commenti sono chiusi.
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